"Rapiti alla morte". Ecco svelati i primi venti calchi (su un patrimonio di 86) di Pompei, alla conclusione del restauro. Suggestivo tesoro (non senza un pizzico di inquietudine)...
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I corpi fossilizzati nei calchi dell'800 appartengono agli abitanti della città vesuviana distrutta dalla furia del vulcano nel 79 d.C. La piramide è indubbiamente ad effetto (farà molto parlare, e già fa discutere). Alta circa dodici metri, realizzata quasi interamente in legno e metallo, vi si entra seguendo un tracciato anulare. Al centro spiccano con un picco di vertigine i calchi agonizzanti nel vuoto. Intorno, fotografie storiche giocate come pezzi di un puzzle, con l'effetto sorpresa. Il tutto, arricchito dall'allestimento di una meridiana solare, con il raggio solare che penetra nella piramide. La mostra, curata anche da Adele Lagi, Ernesto De Carolis e Grete Stefani, si ricollega idealmente con la rassegna "Pompei e l'Europa" in programma al Museo archeologico nazionale di Napoli. Da non perdere.
«È stato fatto un altro passo per la rinascita di Pompei», ha detto nel corso della cerimonia Dario Franceschini, che ha evidenziato il lavoro svolto dalla Soprintendenza guidata da Massimo Osanna e dal direttore generale del Grande Progetto Pompei, il generale Giovanni Nistri. E non è mancata la stoccata. «In mezzo a tanto scetticismo, diffidenza e direi ostilità - ha aggiunto Franceschini - è stato fatto un lavoro operoso, con spirito di squadra e collaborazione».
Ma la piramide nell'anfiteatro non ha raccolto solo applausi. A scagliarsi contro l'installazione di Francesco Venezia (che comunque è temporanea) è l'Osservatorio patrimonio culturale, con il suo presidente Antonio Irlando che la bolla come «un improvvido uso di un'area con una propria identità storica conosciuta in tutto il mondo». Starà al grande pubblico giudicare. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero