Ha colonizzato le consolle di mezzo mondo, persino dei Festival dove la musica techno non è mai stata di casa sul palco principale, ma guai a chiamarlo “dj”....
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«Mancavo da un po’ dall’Italia – spiega dalla "sua" suite, la numero 109 dell’hotel di via Veneto dove soggiorna sempre quando è in città – e con questo pubblico ho un legame speciale». Ama così tanto l’Italia, che uno dei primi brani dell’album è stato composto proprio nella Capitale. «Solo in Russia non tornerei più – scherza – visto che sono stato diverse volte in carcere, per colpa del fumo». Non ama lavorare gomito a gomito con altri colleghi: «Quando inizio a scrivere musica, devo essere solo nella mia stanza». Con Avicii, il dj che si sarebbe tolto la vita nell’Oman, non ha mai avuto rapporti: «Non lo conoscevo. Povero ragazzo». Ma non vuol sentir parlare di “pressioni”: «Quando decidi di passare dal privato al pubblico, sai che potrai essere oggetto di umiliazioni. E se non lo sai, sei sciocco. Se non riesci a gestire questa situazione, è meglio che ti trovi un altro lavoro. Nessuno ti viene dietro con la pistola e ti obbliga a scegliere questo tipo di vita”. “Parts of life”, che esce 10 anni dopo la colonna sonora cult del film “Berlin Calling” (interpretato dallo stesso Kalkbrenner), è uno dei lavori più personali di questo artista: ogni traccia è intitolata con un numero, che corrisponde all’ordine in cui è stata prodotta. «Ci ho messo un mese per trovare l’ordine perfetto – racconta – e il risultato è una storia che si dipana traccia per traccia».
Il Messaggero