Addio a Umberto Eco, lo scrittore che modernizzò la cultura

Umberto Eco
Con Umberto Eco se ne va una delle menti più brillanti, sofisticate e geniali della cultura italiana. Risulta difficile, specialmente per chi ne ha amato la multiforme...

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Con Umberto Eco se ne va una delle menti più brillanti, sofisticate e geniali della cultura italiana. Risulta difficile, specialmente per chi ne ha amato la multiforme produzione narrativa e saggistica, scegliere un suo brano, uno dei suoi libri migliori. Eco era come una di quelle particelle impazzite previste dalla meccanica quantistica, un po' più vicino o più lontano rispetto a dove avrebbero dovuto essere. Amava spiazzare l'interlocutore, prendersi beffe del lettore.

Sempre con uno sguardo bonario e rassicurante, di chi la sa molto più lunga di noi ma non per questo deve farti sentire inferiore. Spesso arrivava, comunque, molto più in alto di dove sia possibile arrivare. Di certo è stato “Il nome della rosa” a lanciarlo nel grande gioco della letteratura mondiale. Quel romanzo nato quasi per scommessa, che mescolava - nei lontani anni Ottanta - erudizione medievistica, savoir faire da noir di altri tempi, e struttura implacabile, da congegno a orologeria. Il film che ne seguì, non fu gran cosa. Ma intanto, tutti favoleggiavano dello scrittore che aveva scritto, certamente, tutto quanto al computer.

DEBOLEZZE
Piace, anche, ricordare Eco per certe debolezze umoristiche, ben più geniali di tanti saggi letterari. Come quel frammento, da “Diario Minimo”, in cui Eco immagina un team di ricercatori marziani di ritorno da una spedizione archeologica sulla Terra. Il relatore, che si rivolge ai suoi “chiarissimi colleghi”, come fosse una qualsiasi relazione universitaria, racconta di avere trovato, sul pianeta distrutto da una apocalisse atomica, solo pochi resti della civiltà umana. E in particolare alcune canzoni di Sanremo. Così, è costretto a risalire a “come eravamo” in base a pochi testi bruciacchiati: I papaveri sono alti alti alti…

Era capace di far sorridere. Eppure, i suoi libri erano come cattedrali. Chi ha letto Il pendolo di Foucault troverà certamente scadenti e stantii certi romanzi arrivati molto dopo, come Il codice da Vinci. La sua erudizione, soprattutto, non conosceva limiti. Ed era religioso, a modo suo, nel senso latino di “religere”, “mettere insieme”. In un modo che piaceva anche a Marguerite Yourcenar, altra grande scrittrice del passato, che con lui aveva più di un punto in comune. Il professore Guido Fink ricordava di averlo visto scrivere i suoi articoli tra una conferenza e l'altra, o durante un convegno in corso, al tavolo dei relatori, con una naturalezza che oggi definiremmo “multitasking” - termine che certamente deve avergli fatto orrore. Era barocco, esagerato, camaleontico. In Irlanda aveva ammirato senza esitazione il libro di Kells, un codice miniato di autore ignoto, dalle illustrazioni mostruose, eppure splendide, che sembrano catturarti al loro interno. Ammirava il collega dell'Alma Mater bolognese Piero Camporesi, anche lui scomparso, che come pochi seppe raccontare la sensualità, gli umori, i sapori dell'età moderna.

CONCRETEZZA
Eppure Eco era anche un uomo concreto, uno che amava la materialità dei fatti. Quindi, elenchiamoli. Aveva 84 anni. La sua morte è avvenuta alle 22,30 di ieri sera, nella sua abitazione. Era nato ad Alessandria il 5 gennaio del 1932. Ma come definirlo? Semiologo? FIlosofo? Multiforme e poliedrico scrittore? Dal 2008 era professore emerito e presidente della Scuola superiore di Studi umanistici dell'Università di Bologna. Di recente si era schierato, assieme ad altri colleghi, e contro la direzione dell'economia nazionale, contro la fusione tra Rizzoli e Mondadori. “Le preoccupazioni della stampa europea non sono dovute a pietà e amore per l'Italia ma semplicemente al timore che l'Italia, come in un altro infausto passato, sia il laboratorio di esperimenti che potrebbero stendersi all'Europa intera”, aveva scritto, alcuni anni prima.


Guardava alla stoltezza con orrore: “il problema della Stupidità ha la stessa valenza metafisica del problema del Male, anzi di più: perché si può persino pensare (gnosticamente) che il male si annidi come possibilità rimossa del seno stesso della Divinità; ma la Divinità non può ospitare e concepire la Stupidità, e pertanto la sola presenza degli stupidi nel Cosmo potrebbe testimoniare della Morte di Dio”. Era sempre in un posto diverso rispetto a dove si credeva che fosse. In un tempo diverso, anche, come i protagonisti dell'Isola del giorno prima, in un atollo del Pacifico. Negli ingranaggi di un mistificatore capace di ispirare gli orrori di Hitler, come in Il cimitero di Praga. O come nell'ultimo libro, molto diverso da tutti gli altri, Numero zero. In cui sotto i riflettori è l'informazione stessa, e il protagonista finisce in un ingranaggio molto più grande di lui. Sarà pure la stampa, bellezza. Ma quello che viene stampato non è mai quello che sembra. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero