Lauenstein, quegli incontri notturni nelle case illuminate

Mercedes Lauenstein
Ha ventinove anni Mercedes Lauenstein, è alla sua opera prima ma sembra aver già vissuto mille vite in una sola notte. Ha scelto il buio, voci di ombre che si...

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Ha ventinove anni Mercedes Lauenstein, è alla sua opera prima ma sembra aver già vissuto mille vite in una sola notte. Ha scelto il buio, voci di ombre che si aggirano in appartamenti anonimi in una Monaco d’interni, piccole luci alle finestre; gli unici occhi illuminati, proprio quelli che ancora restituiscono una parvenza di esistenza. Una ragazza, la protagonista del suo “Di notte” edito da Voland, le sceglie per non condividere da sola le ore che anticipano il giorno che verrà. Venticinque notti a pigiare citofoni, a salire scale, ad abitare stanze e cucine in compagnia di chi è disposto a raccontarle, anche per pochi minuti, ritagli di vita accogliendola nell’improprio orario che si addice soltanto alla solitudine.


I suoi interlocutori le spalancano la porta, come se attendessero da tempo momenti di uno sfogo da buttarle addosso, di una malinconia da regalarle, di un amore non corrisposto da condividere, di una voglia malata che può diventare bordeline, di una vecchiaia arrivata troppo in fretta: «Alcuni nemmeno mi chiedono come mi chiamo - dice lei - come se questo di notte non avesse importanza».

E allora il romanzo della Lauenstein diventa una sorta di splendida commedia umana cucita con il tempo che rimane: Daniel, un lunedì alle 3 e 53 confessa alla sua ospite: «C’è di che essere contenti quando si è gli unici svegli. Immagina se la gente scoprisse com’è bello starsene alla finestra di notte. E se tutti lo facessero e si mettessero lì a guardare. Non sarebbe più la stessa cosa». Maria invece alle 4 e 41 di un giovedì «dietro due finestre al primo piano di una casa rossa» racconta alla ragazza che lì con lei fino a poco tempo fa viveva suo figlio Marc: «Adesso ha una nuova vita in città, ogni due settimane ci sentiamo per telefono» e la donna ammette: «Molto spesso mi chiedo dove va a finire il tempo...La sua vita comincia, la mia finisce, e mi rimane solo la speranza che non si dimentichi di me».

Insieme alla giovane Hanna bocciata in astrofisica, a Fedora e ai suoi bambini, al pensionato Hardy, a Katy con il suo planisfero popolato da migliaia di spilli, a Johanna che candidamente sospira: «Più di tutto mi piacerebbe semplicemente vivere di rendita», a Max che ama le torte al limone e «l’uovo in camicia con avocado», l’autrice veste di suadente, caldo intimismo tutto ciò che circonda l’umano. 


Puoi annusare, gustare, toccare, sfiorare, calpestare «mattonelle inclinate e sghembe», «la copertina fradicia e le copertine che cominciano ad arricciarsi», «aste appendiabiti con camicie maschili e maglioni di lana», «una collana di sottobicchieri di birra, la copertina color rosso di un vecchio disco di Whitney Houston»...Tutto ci appartiene ma potrebbe non essere essenziale. Ciò che importa, come dice Jule un mercoledì alle 3 e 28 «è il momento prima di addormentarsi...Perché ci si può fare affidamento. Non te lo può togliere nessuno...Ci si può nascondere all’interno di sé, e per questo bastano un paio di palpebre». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero