Morte Albertazzi, D'Abbraccio compagna di vita e di scena: «Vergognoso che non avesse una casa-teatro»

Morte Albertazzi, D'Abbraccio compagna di vita e di scena: «Vergognoso che non avesse una casa-teatro»
«Devo tutto a Giorgio. È la persona che mi ha dato la consapevolezza di cosa vuol dire fare teatro, essere un'attrice. Era un leone che ruggiva»....

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«Devo tutto a Giorgio. È la persona che mi ha dato la consapevolezza di cosa vuol dire fare teatro, essere un'attrice. Era un leone che ruggiva». Così Mariangela D'Abbraccio, per tanti anni compagna di vita e di scena di Giorgio Albertazzi, ricorda il grande mattatore del teatro italiano, scomparso questa notte. «Abbiamo sempre continuato a vederci - dice - anche ultimamente. Mi chiedeva delle prove, anche se non sempre riusciva a seguire. Ma il mio ricordo di Giorgio rimarrà quello dell'uomo che ruggiva, che si mangiava la vita e la scena». Il primo incontro, ricorda oggi la D'Abbraccio, «fu nell'84-'85 a un provino. Non ero convinta, c'era tantissima gente e volevo andare via. Lui mi fermò e mi disse: 'hai lasciato il curriculum, la foto?' Lì capii che avevo qualche possibilità».

Primo spettacolo, insieme «'Il genio di Damiano Damiani e Raffaele La Capria», in cui Albertazzi, che ne era anche regista, scelse lei, bellissima, per la parte del transessuale Rosy. «Disse perché ero molto donna. Nel cuore - prosegue - dei tanti spettacoli insieme negli anni mi porto la Dannunziana, Il poeta e la cortigiana di Giuseppe Manfridi. E poi l'emozione di tornare insieme in scena lo scorso anno con Borges-Piazzolla. Insegnamenti? Non aveva una tecnica da maestro da insegnare. Era uno che ti provocava, che ti metteva di fronte a te stesso e tirava fuori ciò che avevi dentro. Questo mi rimarrà». Insieme a un rammarico. «Che negli ultimi anni non abbia avuto una 'casa teatrò che meritava. Giorgio non è morto di malattia, ma di stanchezza. Aveva bisogno di un luogo dove potesse continuare a recitare senza dover affrontare quelle lunghe tournée come a 30 anni. Questo lo trovo vergognoso, perché di fronte a un grande artista come lui bisogna avere anche un pò di responsabilità».
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Il Messaggero