Drive me home, D'Amore: «Senza soldi il cinema italiano non ha mezzi per competere»

Due uomini sui quaranta, amici d’infanzia, lasciano la Sicilia e si perdono di vista sulle strade d’Europa. Marco D’Amore e Vinicio Marchioni, sono i...

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Due uomini sui quaranta, amici d’infanzia, lasciano la Sicilia e si perdono di vista sulle strade d’Europa. Marco D’Amore e Vinicio Marchioni, sono i protagonisti di Drive me home (dal 26 settembre al cinema) pellicola diretta da Simone Catania che attraverso i due personaggi, racconta “l’emigrazione occidentale” ai nostri giorni. Antonio ed Agostino, sono gli emigranti, che lasciano - spaesati - le loro radici alla ricerca di un lavoro in Europa, ma anche e soprattutto di un posto nel mondo. “Il film ha avuto una gestazione lunga dieci anni, è molto personale, perché nasce nel corso di un’esperienza in Inghilterra. Venendo dal documentario volevo raccontare una storia che avesse attinenza con la realtà” spiega il regista alla conferenza stampa di presentazione di Drive me home.


“Era un film complicatissimo già dalla sceneggiatura, perché c’era la necessità di un coinvolgimento emotivo per far si che i personaggi uscissero da noi” aggiunge Vinicio Marchioni, che racconta di un incontro importante proprio sul set, quello con il co-protagonista Marco D’Amore: “è successo qualcosa che con altri colleghi non mi era mai capitato. Trattandosi di una storia di amicizia maschile profonda, nell’aprirci - ci siamo detti - che non avremmo dovuto avere nessuna remora. E così è stato”.

L’attore napoletano dopo il grande successo internazionale della serie Gomorra, si misura anche con film più intimi ed a basso costo, come Drive me home, anche se la mancanza di produzioni economicamente adeguate, per il cinema italiano può essere un rischio. «E’ stato un viaggio faticoso nella misura in cui, le ambizioni della sceneggiatura erano altissime, ma si sono scontrate con un film fatto con pochi soldi, in cui giravamo con lo zaino in spalla. Questo significa che non si possono fare film in queste condizioni, perché a lungo andare non permetterà ai registi di raccontare storie di ampio respiro» argomenta con passione D’Amore, che però vuole sottolineare «la mia non è una polemica, ma un ragionamento tra addetti ai lavori», e ne spiega le motivazioni .

«Io non parlo di soldi, ma di mezzi. Il cinema non è come il teatro che nasce povero e può vivere solo del monologo degli attori. Se andiamo a Bruxelles con una troupe di 4 persone non possiamo competere con 007 che blocca tutta Matera. Poi vanno benissimo la poesia e la fantasia, ma io sto parlando della libertà di esprimersi di un regista. Il cinema è un mezzo tecnico che costa. Questo paese ha artisti enormi che non potranno misurarsi con il cinema straniero per mancanza di soldi».

In Drive me home, dalle strade che dal Belgio riportano i due personaggi in Sicilia, c’è uno spaccato della nostra Italia. Il tema dell’emigrazione in Europa, la fuga da regioni d’Italia dove scarseggiano opportunità di lavoro e che costringono a scegliere altri percorsi di affermazione personale, prima che sociale. E non manca il pregiudizio, quello che spinge il personaggio interpretato da Marco D’Amore, un camionista omosessuale, a lasciare la sua terra perché vittima proprio del pregiudizio.
 

«Io sono in tournée da quando avevo 18 anni, sono 20 anni che giro province e città, il nostro paese si fonda sulle diversità, e io la vivo come una meraviglia, ma questo lo si percepisce quando il popolo è in grado di discernere, di comprendere. I dati ci dicono che siamo uno dei paesi più ignoranti d’Europa, per questo io dico che l’immigrazione non è il problema di questo paese, è una bugia. I problemi sono le mafie il problema, la collusione tra politica e criminalità. Spero che ci siano dei giovani che non pensino che l’orientamento sessuale, il colore della pelle, e la religione possano determinare la nostra vita, ma la gente deve ricominciare a parlarsi» commenta D’Amore.


E conclude il collega-amico di set, Vinicio Marchioni. “La meraviglia del nostro mestiere è che si gira tanto, e dovunque in Italia ho incontrato persone straordinarie. L’ospitalità, da nord a sud, è sempre la stessa. Credo che ci sia una profonda differenza tra i social, che ci dicono che stiamo combattendo una guerra civile, e la realtà. A me piace pensarla così e parlare delle cose positive. Parlare del male non fa altro che alimentarlo». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero