Lo scrittore Sandro Bonvissuto: «Roma c’è un prima e un dopo Falcao»

Lo scrittore Sandro Bonvissuto
Sandro Bonvissuto a suo modo è una sorta di reduce. «Un sopravvissuto, cresciuto a pane e umiliazione, come tutti i tifosi della mia generazione. D’altronde...

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Sandro Bonvissuto a suo modo è una sorta di reduce. «Un sopravvissuto, cresciuto a pane e umiliazione, come tutti i tifosi della mia generazione. D’altronde siamo la squadra che è stata più volte seconda nella storia dello sport».


Forse per questo oggi non guarda neanche la televisione.
«Non mi interessa, non ce l’ho da vent’anni». Ad ascoltarlo cosi non sembra proprio uno di quelli che in tempi di quarantena si potrebbe rilassare sul divano rivedendo vecchie partite della nazionale. «A me il calcio non piace», dice tranchant, e il suo tono di voce sembra convincente. «A me interessa la Roma». Ed è intorno a questa sua romantica ossessione, molto novecentesca, ma che tiene assieme non solo lo sport ma anche molto altro, la famiglia, la storia, la politica, intesa come comunità, è strettamente legato il suo ultimo romanzo “La Gioia fa parecchio rumore”, appena pubblicato per Einaudi e già diventato un piccolo caso editoriale, con due ristampe nel giro di una settimana.

Niente male per uno che fa il cameriere da oltre vent’anni, tutte le notti, in una vecchia trattoria tra Balduina e Trionfale, e che si definisce, appunto, un sopravvissuto.
«Ora ovviamente sono disoccupato, per via del coronavirus, e sono entrato in crisi. Abituato a lavorare fino a tardi tutto questo tempo libero mi sta facendo impazzire. Non riesco neanche a leggere».

Il suo di romanzo, invece, scorre che è un piacere. E’ in fondo il racconto di un’educazione sentimentale di un mondo perduto, davvero novecentesco, dove i ricordi legati alla As Roma, da quelli più drammatici,
«il rischio della retrocessione con l’Atalanta nel ’79», a quelli più esaltanti, sono filtrati da un contesto di riferimento più ampio ma sempre popolare, l’adolescenza, l’amicizia, le trasferte in furgoncino, i pranzi domenicali, in un modo cosi semplice e al tempo stesso forte da risultare difficile non provare almeno una punta di rimpianto.

«E’ un libro d’amore, non sul calcio, ma di un amore collettivo, di passioni declinate in ambito sociale. Posso quasi dire di essere un comunista del sentimento», dice Bonvissuto sorridendo. Come dice il ragazzo, protagonista del libro, “il calcio è l’unica cosa al mondo che è più bella quando la fanno gli altri, quelli con quella maglia però. Che comunque ce l’hanno solo in prestito, perché la maglia della Roma è mia. Potrebbero anche averla rubata. E l’amore forse è questo: correre appresso a un ladro che ci ha rubato qualcosa».

Come gran parte dei cinquantenni cresciuti nel secolo scorso, Sandro Bonvissuto ha automaticamente anche i tratti del disilluso, soprattutto quando si parla di calcio e vita.
«Il calcio lo ha cambiato Berlusconi, prima lo scudetto si poteva vincere anche in provincia, poi improvvisamente è diventato un prodotto da smerciare sulle tv commerciali».


Meglio allora tornare a passare del tempo che fu. Sulla copertina del libro, non a caso, c’è un ragazzo brasiliano dai capelli ricci e la maglia numero 5. Mai realmente nominato ma eternamente presente.
«Prima eravamo solo una squadra mediocre. Poi è arrivato lui ed è cambiata la storia. Perché a Roma c’è un prima e un dopo Paolo Roberto Falcao». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero