Lidia Ravera e la serie “Old Friends” la scrittrice porta in tv la terza età

Lidia Ravera
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«Non avrò pace finché non avrò modificato l’immagine brutta di vecchiaia che ognuno ha dentro di sé, finché non capirete che i vecchi non esistono, ma esiste solo chi ha più passato e meno futuro, e che anche il passato è una protesi esistenziale importante». La lotta agli stereotipi sulla terza età per Lidia Ravera è diventata «un impegno politico serissimo», che la scrittrice ha descritto a Milano durante la presentazione dell’indagine “Generazione 55 special”, condotta da Ipsos e promossa da Amplifon.


Dopo i romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti” e “Terzo tempo”, una trilogia dedicata agli “over”, l’autrice ha lavorato a una serie televisiva che si chiama “Old Friends” sulla falsariga della sitcom americana manifesto dei trentenni. Al posto di Rachel, Monica e Phoebe ci saranno «3 signore sui 60 anni», e invece di Ross, Chandler e Joey «3 maschietti sui 60-70». Età diverse, «stesse dinamiche». Perché «contrariamente a quanto si pensa - precisa Ravera - la vita circola ancora» e a volte anche meglio. «Ogni anno che passa sono libri letti, incontri fatti, dolori superati». Bisogna «restare titolari di desiderio», ammonisce. «Dopo una certa età le relazioni continuano o ne nascono di nuove. Spesso dopo i 65 anni si formano coppie e i dati ci mostrano una crescita dei matrimoni fra ultra 75enni». Rendersene contro e «introiettare un’immagine positiva di questa fase della vita» è una questione culturale, riflette la scrittrice. «Cresciamo temendo la vecchiaia come un buco nero in cui si cade. Io stessa me ne sono preoccupata appena uscita dall’età pediatrica, fino a diventarne un’antropologa».


Il messaggio che «non bisogna accettare il copione» va insegnato ai bambini, «comunicato nelle scuole: invecchiare è un viaggio, un’avventura individuale che può rivelarsi molto piacevole». L’obiettivo di “Old Friends” è proprio «dipingere un’immagine di anziano che non si porti dietro aggettivi squalificanti e irricevibili».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero