«La scelta della solidarietà», Fuocoammare e i rifugiati

«La scelta della solidarietà», Fuocoammare e i rifugiati
Un regista, Gianfranco Rosi, il suo film "Fuocoammare", premiato con l'Orso d'oro a Berlino, e la piaga di una solidarietà a sprazzi, quella...

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Un regista, Gianfranco Rosi, il suo film "Fuocoammare", premiato con l'Orso d'oro a Berlino, e la piaga di una solidarietà a sprazzi, quella accordata ai rifugiati dai comuni italiani. Nella serata organizzata dalla Fondazione internazionale Don Luigi Di Liegro e dal Trevignano FilmFest nel complesso monumentale di  San Salvatore in Lauro a Roma, l'hanno fatta da padrone gli ultimi dati del ministero dell'Interno: al momento circa 700 enti locali su 8000, per il periodo 2014-2016, hanno aderito con dei loro progetti allo Sprar, il sistema per accogliere, proteggere e integrare i rifugiati e richiedenti asilo, finanziato dallo Stato. 


Colpisce, ad esempio, la scarsa sensibilità del Veneto, quinta regione italiana per popolazione e nella fascia medio-alta quanto a redditi individuali: su 22 mila posti di seconda accoglienza per rifugiati, creati dalla rete Sprar nel biennio in esame, ne ha forniti appena 321, meno di quelli offerti dal Molise e dall'Umbria. A dispetto dei cospicui trasferimenti dello Stato verso il Trentino Alto Adige, Bolzano non ha approvato nemmeno un progetto per i rifugiati, e Trento per appena 149 posti. Un'intera regione autonoma, come la Val d'Aosta, terza assoluta per reddito individuale dopo Lombardia ed Emilia Romagna, non figura affatto nella tabella riassuntiva della Banca dati  Sprar: zero progetti e zero posti.

Nella graduatoria nazionale sono largamente in testa la Sicilia, con 4.888 posti, seguita a ruota dal Lazio con 4.753. Leonardo Domenici, già parlamentare e per dieci anni sindaco di Firenze, presidente oggi di Cittalia, l'istituto di ricerca dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia (che ha al suo interno il Servizio centrale dello Sprar) ha cercato di essere ottimista: «Il nuovo bando, in corso di valutazione, dovrebbe aggiungere 10 mila posti agli attuali 22 mila, mentre dall'inizio dell'attività, con la legge Bossi-Fini del 2002, si calcola che 120 mila rifugiati abbiano fruito dell'assistenza Sprar, con corsi di lingua semestrali, formazione per il lavoro, scolarizzazione dei bambini e altro». Incalzato da Corrado Giustiniani, presidente del Trevignano FilmFest ha aggiunto: «Se i comuni che non fanno parte della rete Sprar non si muovono, saranno le prefetture a imporre loro un contingente di immigrati».

Poi, nella sala gremita, è stato calato lo schermo per la proiezione di Fuocoammare, seguita dal dibattito, coordinato da Fabio Ferzetti, critico cinematografico del Messaggero. Ha detto Gianfranco Rosi: «Sono stato due mesi a filmare gli sbarchi, con un crescendo emotivo, e non riuscivo a mettere la macchina da presa nel punto giusto». Toccante  la testimonianza del dottor Pietro Bartolo, il medico della speranza, responsabile del presidio sanitario di Lampedusa e attore nel film di Rosi. «In venticinque anni ho visto quasi 300 mila persone, e ho dovuto compiere circa mille ispezioni cadaveriche. Mi dà forza il ricordo di Kebrath, una ragazza data per morta e dunque infilata nell'apposito sacco. Ho voluto aprirlo, mi sono accorto che respirava. L'abbiamo rianimata, oggi è viva, sana e lavora».


Bartolo ha raccontato come molte donne vengano violentate nel viaggio prima dell'imbarco, e gli chiedano di aiutarle ad abortire. Cosa che lui cerca di fare, nei limiti della legge italiana. In forte aumento, e documentate dal film, le ustioni chimiche, provocate da miscela di acqua salata e benzina persa dai motori di quei vecchi gommoni. «Andarli a prendere a venti miglia dalla costa e anche meno, paradossalmente, ha aiutato i trafficanti che oggi possono ricorrere a piccole carrette sgangherate. Ci vorrebbe per i migranti - ha concluso il dottor Bartolo - un corridoio sanitario fino alla Tunisia ed è lì, sulla costa che dovremmo imbarcarli. Ma questa volontà non c'è e l'ultima vergogna europea è il recente accordo con la Turchia».




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Il Messaggero