«La storia dell'ultimo anno di vita di un uomo superfluo, personaggio ricorrente nella grande letteratura russa,...
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ricorrente nella grande letteratura russa, raccontata con una magistrale commistione di comicità e dramma»:
così Filippo Dini, nelle note di regia, descrive le vicende e la figura di Ivanov, protagonista dell'omonima opera di Anton Cechov che lo vede in scena e in cabina di regia al teatro Eliseo di Roma fino al 15 novembre.
La tragicommedia ruota attorno a un possidente terriero che assiste impotente e indolente al crollo del suo mondo, sia economico sia familiare: i debiti non risarciti, una moglie malata terminale di tisi, una giovane facoltosa innamorata di lui ma non ricambiata, sullo sfondo di arrivisti, arrampicatori sociali, sanguisughe finanziarie, una nobiltà in declino e una borghesia affamata in un mondo culturale latente se non del tutto assente.
Nei dialoghi come nel lento svolgersi della vicenda, a farla da padrona assoluta è la noia: non degli
spettatori, rinvigoriti anche da una lettura comica e a tratti farsesca; ma dei protagonisti che trascinano la
loro vita sognando un tempo che fu o che tarda ad arrivare. Del resto, osserva sempre Dini, «Cechov si è occupato in tutta la sua produzione letteraria principalmente di questo: descrivere i modi più disparati che l'uomo escogita proprio per sottrarsi alla noia». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero