Partendo per l'Ariston aveva spiegato: «Stavolta non vengo al Festival con un tormentone ritmico come le altre volte, ho una leggenda popolare con un vestito sinfonico:...
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Max Gazzè tra i favoriti per la vittoria: lo prevedevi?
«Proprio no, però mi fa piacere che il brano sia piaciuto, che le vibrazioni siano arrivate».
Il tuo pronostico per stasera?
«Vince Annalisa, il suo brano è carino e radiofonico e lei è un bel personaggio, giovanile. E poi Lo Stato Sociale, divertentissimi, e Ron, come fai a non premiare un pezzo di Lucio Dalla cantato da lui?».
A proposito del piccolo grande uomo: possiamo dire che la tua canzone va nella direzione di Caruso?
«Oddio, è un capolavoro, però i due brani sono accomunati dall'epica popolare e dall'afflato classico, lirico. E, poi, è successo un fatto strano».
Cioè?
«Il mio brano racconta il mito del bellissimo pescatore pietrificato sulla spiaggia di Vieste per non aver ceduto alle lusinghe delle sirene perché innamorato della sua bella, rapita in fondo al mare. Ogni cento anni, Pizzomunno smette di essere un faraglione bianco e Cristalda riemerge: il tempo di una notte d'amore e i due tornano lui pietra di calcare, lei in fondo alle acque. Ieri ho incontrato Miglio, il presidente della provincia di Foggia, che voleva ringraziarmi per la pubblicità, chiamiamola così, fatta alle spiagge di Vieste e mi ha raccontato una storia incredibile. Lucio Dalla era di casa da quelle parti, scappava alle Tremiti appena poteva e amava quello scoglio e quella leggenda, al punto da aver confessato la voglia di metterla in canzone».
Non ha fatto in tempo.
«No, e ora l'ho fatto io, che frequentavo Lucio abbeverandomi alla sua arte. Andavo a trovarlo alle Tremiti, a Milo, lo incontravo ogni volta che potevo».
Torniamo al Gazzè favorito, che intanto fa uscire «Alchemaya», album «sintonico», ovvero nato dall'incontro di sintetizzatori e orchestra. Il brano sanremese è in bella mostra tra canzoni esoteriche, storie egiziane, fisica quantistica. Forse ha ragione Baglioni quando spiega il successo di questo Festival dicendo che «il pubblico non è mediocre come lo si dipinge, mediocre è la tv che spesso gli diamo, le canzoni che spesso gli propiniamo».
«Di sicuro sì. Esiste un modo meno analitico e più diretto di vivere la musica, simile a quello dei bambini, che non avendo gabbie culturali si affidano solo alle emozioni. Non importa che si conosca la leggenda che racconto, ma che arrivino le onde sonore del nostro cuore».
Parli al plurale anche pensando a Rita Marcotulli e Roberto Gatto?
«Certo, dopo le prime due esecuzioni con l'orchestra, per quella della serata delle autocover ho scelto loro due, con cui sono già andato in tour. Abbiamo realizzato una versione più nuda e pop del pezzo, come se fosse una ballad, con appena uno spruzzo di archi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero