Incantano Cannes Almodòvar e il suo alter ego Banderas

Pedro Almdòvar e Antonio Banderas
«In questo film c’è la mia vita. Soprattutto i sentimenti più profondi: non tutto quello che si vede sullo schermo mi è capitato, ma avrebbe...

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«In questo film c’è la mia vita. Soprattutto i sentimenti più profondi: non tutto quello che si vede sullo schermo mi è capitato, ma avrebbe potuto benissimo capitarmi», dice Pedro Almodòvar. Gli fa eco Antonio Banderas: «E io ci ho messo dentro tutto il mio dolore: il personaggio che interpreto è anche frutto dell’infarto che mi colpì due anni fa». Separati fisicamente ma complici, entrambi emozionati, il regista in pantaloni rossi e l’attore con berretto da baseball parlano su una delle terrazze più spettacolari di Cannes. E con un coinvolgimento totale raccontano il film, o meglio «l’esperienza emotiva» che li ha riuniti sul set per l’ottava volta e ora, qui al Festival, è una papabile Palma d’oro: Dolor y Gloria, in concorso domani e nelle sale italiane lo stesso giorno.

OTTO E MEZZO. Arrivato alla soglia dei 70 anni (li compirà a settembre) Almodòvar si è messo a nudo come non aveva mai fatto prima. Il film, che è facile definire il suo personale Otto e mezzo, ha come protagonista un regista in declino, interpretato da un Banderas da Oscar, costretto a fare i conti con il passato (Penelope Cruz interpreta sua madre da giovane), gli incontri decisivi e gli amori, le paure e le speranze, la scoperta del desiderio e l’amicizia. In preda alla depressione e agli acciacchi fisici, incapace di tornare sul set, finisce per sniffare eroina. «Io non ho mai fatto uso di quella droga, ma una dipendenza ce l’ho: è quella che mi lega al cinema», confessa il regista. «Si è acuita con il tempo, in concomitanza con la paura di non poter girare film a causa dell’incapacità fisica o per mancanza di ispirazione: è questo il fantasma con cui convivo». A Banderas non ha detto subito che avrebbe interpretato il suo alter ego con i suoi stessi capelli ricci, vestito con i suoi abiti autentici e circondato dai veri mobili della sua casa: «Che il mio personaggio fosse Pedro l’ho scoperto piano piano», rivela l’attore 58enne, «e a dire la verità non ho avuto paura. Almodòvar è il regista a cui sono più grato e in questa occasione mi ha regalato l’esperienza più soddisfacente della mia carriera».
EVVIVA LA SALA. Il protagonista del film, spiega Pedro, scopre il desiderio da ragazzino e sviene per l’emozione. «Anch’io ero piccolo quando ho provato il primo impulso sessuale ma quando sei in tenera età non hai consapevolezza». Dolor y Gloria, aggiunge, «rappresenta la mia dichiarazione d’amore nei confronti della sala: i film vanno visti sul grande schermo». Banderas? «È il mio Mastroianni, nessuno avrebbe potuto interpretare me stesso meglio di lui. Ci capiamo al volo perché abbiamo vissuto insieme gli effervescenti anni Ottanta quando, uscita dalla dittatura, la Spagna era in fermento e c’era una grandissima libertà creativa. Quella che non esiste più, soffocata dall’attuale mentalità cattolica e reazionaria: non credo che oggi potrei girare un film come La legge del desiderio, gli esercenti non lo metterebbero in programma».
A proposito del clima del suo Paese, Almodovar si dice felice che, alle ultime elezioni, la Spagna «abbia voltato le spalle all’estremna destra e dato origine a un governo progressista di sinistra. La gente ha rifiutato la campagna elettorale a base di violenza e insulti. Ora speriamo che i prossimi quattro anni siano migliori di quelli passati e che alle elezioni europee l’onda lunga dei risultati delle politiche travolga nuovamente l’estrema destra».

LA RINUNCIA. Dice Antonio: «Pedro è sempre stato coerente: per rimanere fedele a se stesso ha rifiutato le montagne di soldi che gli offrivano da Hollywood perché lavorasse negli Usa». Il regista sorride: «Non mi è costato molto. Non volli dirigere Brokeback Mountain perché non sarei stato libero di mostrare l’amore fisico tra i due uomini protagonisti, ma il film realizzato poi da Ang Lee mi è piaciuto». Oggi va al cinema spesso «e a dire la verità vedo pochi film buoni: gli ultimi sono stati Roma e Cold War. E detesto le saghe dei supereroi». Cannes? «Sono venuto al Festival tante volte e sono felice di tornarci perché difende con forza il cinema d’autore. Sulla Croisette mi piace spiare la reazione del pubblico. Non penso alla Palma d’oro». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero