Non è un magistrato. Né un politico. Ma un uomo “qualunque” che l’orrore delle stragi del ‘92 se lo sente addosso. Un palermitano che...
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Debutta il 23 maggio a Palermo, al teatro Massimo, storica sala d’opera italiana, “I traditori”, spettacolo-inchiesta, scritto da Gery Palazzotto (per vent’anni capo delle Cronache al Giornale di Sicilia) e dal cronista di Repubblica e sceneggiatore Salvo Palazzolo «per smascherare», spiegano, «i retroscena del più atroce depistaggio della storia giudiziaria italiana». «Non si tratta di un documentario», aggiunge Palazzotto, «non facciamo archeologia giudiziaria. Noi sveliamo sul palco di un teatro molto coraggioso le trame di un sistema con cui mafiosi, servizi segreti e uomini delle istituzioni hanno minato le fondamenta della democrazia».
In scena, insieme con l’attore Gigi Borruso (la regia è di Alberto Cavallotti), due pianoforti e un contrabbasso «perché la musica è intrecciata con la narrazione, è un’opera-inchiesta». La sirena di via D’Amelio che subito dopo l’esplosione continuò a urlare nelle televisioni degli italiani, qui diventa la base di una inquietante melodia (tre gli autori Marco Betta, Fabio Lannino e Diego Spitaleri), filo conduttore di una narrazione dolorosa.
Dai pizzini di Provenzano, a un indizio che porta alla cassaforte di Vito Ciancimino, dalle tracce di dna femminile alle deviazioni di parte dell’apparato investigativo, ogni rivelazione è accompagnata da documenti proiettati su uno schermo. «Quello che raccontiamo in scena», continua Palazzotto, attualmente direttore della Comunicazione del Teatro Massimo e corsivista su Repubblica, «lo proviamo in diretta con le immagini».
I traditori è il seguito ideale delle “Parole rubate”, primo lavoro teatrale, sempre di Palazzotto e Palazzolo, incentrato sui 57 giorni che separarono le due stragi di Capaci e di via D’Amelio, diretto da Giorgio Barberio Corsetti, ora riproposta alle Orestiadi di Gibellina: il monologo di un uomo che incastra i tasselli di un puzzle rimasto incompiuto per un quarto di secolo.
«Paolo Borsellino scende dalla sua auto blindata in via d’Amelio a Palermo», racconta Palazzotto, «in una mano ha una sigaretta, nell’altra l’accendino. La borsa con la sua agenda rossa è in auto e lì rimarrà fin quando, due minuti dopo, Cosa Nostra farà esplodere una Fiat 126 imbottita di tritolo. Poi quell’agenda sparirà. Da Capaci a via D’Amelio, la storia di quei giorni è il resoconto di un’epidemia di distrazione collettiva».
Dopo la sentenza di depistaggio si entra nel capitolo “Traditori”. «Falcone, Borsellino, ma anche Dalla Chiesa, Cassarà: c’è un metodo del delitto a Palermo.
Il Messaggero