Guerritore psichiatra dal volto umano nell'inferno dei vecchi manicomi

Monica Guerritore con Gaia Girace e Maria Rosaria Mingione in una scena del film "Girasoli"
Anni Sessanta, prima della legge Basaglia che avrebbe chiuso le strutture psichiatriche. Un manicomio-lager per bambini fa da sfondo a Girasoli, l’opera prima di Catrinel...

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Anni Sessanta, prima della legge Basaglia che avrebbe chiuso le strutture psichiatriche. Un manicomio-lager per bambini fa da sfondo a Girasoli, l’opera prima di Catrinel Marlon in programma al Torino Film Festival. In quest’ambiente infernale tra pazienti legati, elettrochoc, celle putride per i più turbolenti, nasce il tenero sentimento tra la quindicenne schizofrenica Lucia (Gaia Girace, l’affascinante Lila di L’amica geniale) e la giovane infermiera Anna (Maria Rosaria Mingione). Monica Guerritore, più carismatica che mai, interpreta la psichiatra umana e combattiva che si oppone alle cure repressive del primario (Pietro Ragusa). La grande attrice è anche produttrice associata a Masi Film e RaiCinema con la sua neonata società Lumina MGR.

Perché ha deciso di coinvolgersi in questo progetto?
«Al di là della vicenda psichiatrica ambientata 60 anni fa, la tematica del film mi è sembrata molto attuale: sottolinea l’esigenza di ascolto, il bisogno di amore che riguarda non solo i malati ma tutte le persone».
Lei che ne sapeva di manicomi?
«Innanzitutto ho riflettuto sulla legge Basaglia che ha gisutamente chiuso quelle strutture, ma non è stata seguita dalla creazione di case di accoglienza o cure alternative. E poi mi sono ispirata allo psichiatra che seguì Alda Merini, un personaggio che ho studiato e portato in scena, invitandola a scrivere poesie invece di bombardarla di medicine».
Catrinel Marlon è cresciuta in un orfanotrofio in Romania: il film racconta la sua infanzia difficile?
«Catrinel è una regista molto sensibile. Partendo dal dolore che ha scandito i suoi primi anni, è uscita dal racconto autobiografico e ha creato una storia universale, capace di coinvolgere tutti».
Come mai sempre più attrici debuttano nella regia?
«Non farei di ogni erba un fascio. Per dirigere un film occorrono talento ed esperienza: proprio le doti che stanno premiando l’esordio di Paola Cortellesi. Il successo del bellissimo ”C’è ancora domani” dimostra che non mancava il pubblico, mancavano i buoni film».
Ma esiste nel cinema un punto di vista femminile?
«No. Tant’è vero che le migliori storie sulle donne le ha scritte Ingmar Bergman...Esiste solo la qualità del prodotto, a prescindere dal sesso dell’autore. Alle donne è semmai dovuta la stessa attenzione riservata agli uomini».
E lei l’ha avuta?
«Non sempre. Quando ho presentato il progetto del mio film Magnani - l’alba del giorno, mi sono sentita dire: ”ma perché non fai fare la regia a un uomo?”».
A che punto è la preparazione?
«Sto chiudendo con una importante società di produzione e distribuzione, le riprese inizieranno il 6 maggio 2024».
E’ vero, come racconta Verdone nel film di Roberto D’Agostino e Marco Giusti ”Roma santa e dannata”, che a 20 anni lei andò in un night con Carlo e Christian De Sica per poi piantarli in asso e uscire da lì con Alain Delon?
«Ho avuto il privilegio di usare Delon come uomo dello schermo: l’attore mi portò dall’amico Giancarlo Giannini con cui avevo una relazione clandestina e che mi aspettava poco lontano sulla sua Porsche verde».

In ”Girasoli” lei dice alla sua giovane paziente: «Abbassa gli occhi ma non abbassare mai la testa». Lei ha dovuto abbassarla?
«Mai». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero