Scarpati e il libro struggente sulla mamma con l'Alzeheimer: «Mia madre senza ricordi»

Giulio Scarpati
​Quando in una famiglia piomba la diagnosi di Alzheimer le reazioni vanno generalmente in due direzioni. Verso la cupezza assoluta, quasi la rassegnazione, oppure verso...

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​Quando in una famiglia piomba la diagnosi di Alzheimer le reazioni vanno generalmente in due direzioni. Verso la cupezza assoluta, quasi la rassegnazione, oppure verso l’ostinazione a non mollare, a inventarsi qualcosa per non sprofondare. Comunque, si tratta di fronteggiare un grande dolore. Giulio Scarpati, l’attore, ha scelto la seconda strada.


Ha deciso di diventare l’io vicario di sua madre Flavia, da oltre tre anni con Alzheimer, e di scrivere un libro, “Ti ricordi la Casa Rossa?” (Mondadori). Una narrazione continua in cui si rivolge a lei condividendo, con chi legge, la loro vita. Dalle vacanze a Licosa, costa Tirrenica a nord del Cilento, all’attività ambientalista della madre, al suo fare autoritario, al rapporto con i fratelli, al padre che prendeva tutto a ridere, al primo grande amore. La vita della famiglia Scarpati si incrocia con i ricordi (raccontati una volta) della signora Flavia con l’amore per il teatro dell’attore, il rapporto con i fratelli. E poi i nipoti, il desiderio del figlio di fare l’attore.



PIZZICOTTI AI FIGLI

Scarpati si rivolge, appunto, alla madre raccontando. Le vicende di tanto tempo fa e quelle più recenti. «Noi tre bambini, dai sedili posteriori, cantavamo a squarciagola durante il viaggio, ma poi finivamo sempre per litigare, allora tu ti arrabbiavi - scrive Scarpati - allungavi il braccio all’indietro e mollavi pizzichi a chi capitava a tiro». Poi, si capisce, fissa lo sguardo della madre (assente o presente?) e torna al presente nel suo narrare. «Io ti racconto, ma tu ascolti? Vuoi che ti dica di noi o ti infliggo ulteriormente sofferenza, ricordandoti che tu non ricordi più? Mi hai lasciato da solo a decidere per te. Faccio quello che credo sia giusto e mi porto dietro il dubbio che invece sia sbagliato. Ma se è vero, come qualcuno dice, che la realtà attorno ti sembra lontana come un sogno, e che i sogni sono diventati la realtà entro cui vivi, io voglio fornirti i dettagli, le storie, le gambe per alzarti da qui».

Dà un pugno nello stomaco Scarpati scrittore e poi ritorna al viaggio che la famiglia («tutti stipati, uomini e animali, nella Seicento bianca») fino a Licosa.



NOMI E VOLTI

A questo punto il ricordo si minimizza in tanti dettagli. Minuzie per far arrivare a lei il profumo e il suono di quel tempo. Si fa aiutare dall’album delle fotografie, indica i nomi e i volti per stabile qualche connessione. «Mi senti? - si domanda - Capisci quello che dico? La tua badante mi assicura di sì. Lo fa per incoraggiarmi, sente che voglio credere pure a questo. Alle medicine non credo più, ai medici neppure. Più che altro perché una volta fatta la diagnosi, nessuno di loro sa bene come comportarsi. Nessuno sa cosa provi, cosa vuoi, cosa funziona e cosa no. E io non ci capisco niente».

Prova a sollecitare la memoria e torna su quel viaggio che prevedeva passaggio all’altezza di Cassino. Lei, quando i ragazzi Scarpati erano piccoli, si dilungava nei fatti di guerra. Nelle storie della famiglia della signora Flavia. Che comunica le sue emozioni con accessi di pianto.



IL PRIMO SPETTACOLO


E poi di nuovo lo Scarpati bambino che cerca di far riaffiorare qualche brandello di luce alla mamma. «Ti ricordi Anna Maria Caldi?». Era la signora del piano di sopra, argentina, che faceva l’attrice. «Un giorno ti chiese se poteva inserirmi in un suo spettacolo e tu accettasti. Fu la mia prima volta in scena, 24 maggio 1968, al teatro delle Muse a Roma. Avevo dodici anni e mi piacque moltissimo. Salii sul palco tranquillo, direi soprattutto incosciente. Il testo era particolare, sudamericano, con più gesti che parole. Io avrò detto in tutto due battute. Ero affascinato dal fatto che gli attori riuscissero a discutere per ore intorno a una battuta. Mai mi sarei immaginato che dentro quella follia ci sarei caduto con tutte le scarpe. “Paese Sera” mi recensì così: “Grazioso e disinvolto nel suo breve ruolo il bambino Giulio Scarpati”... Il tuo afflato educativo aveva subìto un piccolo smacco...». Così Scarpati ha imparato a ricordare ciò che la madre ha dimenticato. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero