Prostituzione e violenza, fa scandalo l'autobiografia di Depardieu

Prostituzione e violenza, fa scandalo l'autobiografia di Depardieu
Non sarebbe mai dovuto nascere Gerard Depardieu. La sua autobiografia comincia così, con un aborto fallito e nessun rancore: «Sono sopravvissuto a tutte le violenze che la mia...

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Non sarebbe mai dovuto nascere Gerard Depardieu. La sua autobiografia comincia così, con un aborto fallito e nessun rancore: «Sono sopravvissuto a tutte le violenze che la mia povera madre si è inflitta, con i ferri, con qualsiasi cosa trovasse a portata di mano... Quel terzo figlio che non voleva, ero io, Gérard».












Sembra di sentirlo, Depardieu, leggendo le 170 pagine di Ça c'est fait comme ça, (È andata così, edizioni XO), la storia non romanzata di una vita che è stata discese agli inferi e momenti di grazia assoluta. Depardieu non ha aspettato di compiere i 65 anni, né di essere messo al bando in patria per aver scelto l'esilio fiscale in Russia e in Belgio per parlare chiaro. È però la prima volta che l'attore si confessa nero su bianco, lasciando alle parole (ritrascritte dal giornalista e scrittore Lionel Duroy) il tempo di spiegare «come sia andata davvero».

Come al solito, Gégé non ha paura, anzi, sembra riandare quasi con tenerezza agli inizi di una vita che è stata davvero difficile, alla periferia di Chateòuroux, cittadina in mezzo al nulla del centro della Francia, senza scuola, senza libri, senza parole nemmeno, in una famiglia «in cui non si mangiava mai tutti insieme a tavola, mai un buongiorno: a casa era così, e la vita era lì davanti, la imparavi guardando, niente parole, mai».



INFANZIA

Un'infanzia in cui le vacanze si passavano ai bagni dell'aeroporto di Orly, dove lavorava la nonna. Depardieu prende quasi piacere a far inorridire, ma questa volta ha lasciato parlare i fatti o i ricordi, senza alzare i toni. Racconta di un'adolescenza passata per la strada, a rubare ai morti nelle tombe dei cimiteri, ma anche a prostituirsi. Con i camionisti di passaggio sulla statale. «Fin da piccolo ho capito che piacevo ai gay», scrive, aggiungendo di non aver esitato a «farlo per soldi»: «A vent'anni il delinquente che era in me era ben presente, forte e vivo. Alcuni li fregavo, altri li picchiavo e me ne andavo con tutti i loro soldi».

Poi, una sera, succede qualcosa, una magia, pensando a quello che poi Depardieu regalerà al cinema, in una carriera cinematografica e teatrale bulimica e sterminata, fatta non solo di alti. Una sera dei suoi vent'anni, entra, scassando una porta secondaria, al teatro di Chateauroux. Danno il Don Giovanni di Molière: «Entro attraverso la sala dei costumi, spio gli attori che si vestono, assisto alla rappresentazione, nascosto dietro le quinte. Quel poco che capisco della storia non mi piace, ma sono affascinato dalla lingua, la musica delle parole... sono talmente sorpreso, che compro il libro dell'opera e prendo piacere a declamarne ad alta voce, da solo, dei brani. Capisco sì e no una parola su cinque, ma sento con chiarezza la musica, ricordo ancora, come se fosse adesso, il piacere per l'orecchio, l'emozione».

La gloria che arriva, gli incontri, la consacrazione, Marguerite Duras, François Truffaut, Monicelli, Bertolucci, Resnais, Fanny Ardant, Catherine Deneuve, restano più in secondo piano delle ferite sempre aperte. Come i figli, che, lo sa bene, «si vergognano di portare il mio cognome, ma io gliel'ho detto: allora cambiatelo, se vi dà tanto fastidio».



GUILLAUME


Ma è soprattutto di Guillaume, che parla, il più grande, attore di talento, morto nel 2008 a 37 anni per un'infezione nosocomiale, dopo aver perso una gamba in un incidente stradale. «Non ho saputo rispondere alle sue richieste, al suo dolore. Mi c'è voluto tempo per diventare padre, all'inizio non sono stato capace, non sono stato capace di vestirlo abbastanza per proteggerlo dal fuoco. Ma non cedo ai sensi di colpa. Dei sensi si colpa me ne frego da tanto tempo». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero