Francesco Meli all'Opera di Roma «Cantare Verdi significa non dimenticare il patrimonio storico»

Francesco Meli
Non solo concerti. Non solo cinema. Anche l’Opera di Roma ha ripreso alla grande con uno spettacolo di primissimo piano. ...

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Non solo concerti. Non solo cinema. Anche l’Opera di Roma ha ripreso alla grande con uno spettacolo di primissimo piano.


Protagonista, Francesco Meli che, nonostante abbia solo 41 anni, da anni è il tenore italiano per antonomasia, oltre che essere il più impegnato, in Italia e all’estero.
Da domani, 17 ottobre, al 26,  è impegnato all’Opera di Roma in un’opera di Verdi pochissimo frequentata, una dei cosiddetti “anni di galera”, Giovanna d’Arco.
«Sono molto legato al Teatro dell’Opera di Roma che è stata una tappa importante della mia carriera - commenta- , soprattutto negli anni di collaborazione con il Maestro Muti. Quante indimenticabili produzioni verdiane! È rimasto un mio teatro del cuore, ho sempre piacere nel tornarci».
La parte di Carlo VII è impervia per il tenore verdiano? Perché?
«Quello di Carlo VII è un ruolo scritto da Verdi guardando ancora al Belcanto, negli “anni di galera”. È un Verdi relativamente giovane che, però, sperimenta e prova nuove soluzioni, una per tutte l’uso della fisarmonica fuori scena per accompagnare il coro degli angeli». 
Che cosa significa cantare Verdi oggi? 
«Cantare Verdi oggi significa non dimenticare un patrimonio storico e culturale che parla della nostra Italia e delle sue origini. Verdi nelle opere, raccontando i dolori e le difficoltà dei suoi personaggi, racconta chi eravamo nell’Ottocento, ma anche chi e cosa siamo diventati». 
Lei lavora spesso con Davide Livermore e, più raramente, con il Maestro Gatti...
«La collaborazione con Davide Livermore è ormai di vecchia data, la prima volta fu nel 2002 al Teatro dell’Opera Giocosa di Savona in un Elisir d’amore, debuttavo come Nemorino. Con Davide ho fatto molte produzioni, siamo veramente in sintonia, con lui si fa un grande lavoro sul personaggio e sulla sua natura. In realtà ho cantato molto con il Maestro Gatti, tantissime volte il Requiem di Verdi per esempio, anche con lui il lavoro è produttivo e stimolante, con una approfondita ricerca della parola legata alla musica». 
Ha vissuto sulla sua pelle il dramma del covid, sia come uomo che come artista, vista la lunga chiusura o la parziale apertura dei teatri al pubblico. Come ha cambiato il teatro d’opera la pandemia?
«La pandemia ha cambiato la vita di tutti e, di conseguenza, anche la vita in teatro. Le norme di sicurezza, preservando i lavoratori dal pericolo di contagio, comunque condizionano la nostra attività con l’uso della distanza e delle mascherine. Per fortuna, piano piano stiamo uscendo da tutto questo. Come tutti, non vediamo l’ora di tornare alla totale normalità». 
I prossimi impegni?

«Verdi, Verdi e ancora Verdi! Subito dopo Roma mi aspettano a Monaco di Baviera nel Trovatore, alla Scala nel Macbeth che inaugurerà la nuova stagione, a Dresda per Aida e di nuovo alla Scala per Un ballo in maschera. In mezzo anche vari concerti in Italia. Il desiderio sto per realizzarlo, però potrò annunciarlo solo a fine mese!»

 

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Il Messaggero