«Mi piace suonare, ecco perchè», Francesco De Gregori spiega così il suo concerto per pochi. Un teatro di periferia, il Teatro Ambra alla Garbatella, 230...
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Altro che maxischermi e clima da stadio, raccoglimento è la parola d'ordine. Francesco sgrida gli spettatori della prima, parenti, amici, giornalisti e invitati se applaudono un assolo di chitarra (che lui, spiega, ha chiesto fosse cafone), se si scaldano troppo coi classiconi, cioè i grandi successi, invece che soffermarsi sulle chicche ritrovate, i pezzi dimenticati o non conosciuti. «Non parlo di politica e di Sanremo» avverte i giornalisti, prima di incontrarli, subito dopo la prova generale, poi però comincia il concerto dicendo alla sua maniera la sua sullo stato del Paese e della sua città lanciando Viva l'Italia («che ora ho riscoperto» spiega) e Ma che razza de città, su Roma.
«Certo che la scelta non è casuale» ammette. Ma ieri sera, per il vero debutto, ha subito cambiato lanciando Titanic e Belle Epoque. Suona con leggerezza l'orchestra, tutti pezzi a tempo ridotto, tranne un paio di up tempo ma non troppo, niente percussioni, le parole scandite. I classiconi fanno la loro figura, La leva calcistica della classe 68 e Generale, la conclusiva Rimmel. Ma sono i pezzi meno noti a farla da padrone, con qualche riscoperta come la bellissima Cardiologia, presa dall'album Calypsos. Si replica fino al 27 marzo, con la voglia magari di riprovarci più avanti «mi piacerebbe fare la stessa cosa in altre città» confessa. Ma non parlategli di Springsteen e della sua residency acustica newyorkese: «Semmai è stato lui a copiare Viva l'Italia con Born in the Usa». Dall'estate è già prevista un'altra avventura, un Greatest hits sinfonico che debutterà il 12 e 13 giugno, destinato a diventare probabilmente un disco, ma fatto in studio, in diretta, avverte Francesco «perchè – dice – i live sono parole scritte nell'acqua».
Quella di De Gregori «spero non sia una posizione più politica che sul merito, ma se crede gli girerò il testo della legge, che apostrofa ma evidentemente non ha neppure letto, perché promuove proprio artisti emergenti e piccole etichette, rispondendo appieno all'interrogativo che si pone lui stesso».
Il Messaggero