Filippo Nigro, a Venezia col clan di Terrence Malick

Filippo Nigro, a Venezia col clan di Terrence Malick
Non è a Venezia per ragioni di lavoro (la preparazione del nuovo film di Paolo Costella, Per Tutta la vita, con Claudia Pandolfi) ma è l’unico attore italiano...

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Non è a Venezia per ragioni di lavoro (la preparazione del nuovo film di Paolo Costella, Per Tutta la vita, con Claudia Pandolfi) ma è l’unico attore italiano nel cast di The Book of Vision, il film di Carlo Hintermann con Charles Dance e Lotte Verbeek che ha aperto oggi la sezione della SIC (Settimana Internazionale della Critica) della Mostra del cinema di Venezia. Un film con cui, nei panni di un soldato prussiano alle prese con una moglie spiritualmente ed emotivamente lontana, Filippo Nigro ha fatto il suo ingresso nel cerchio magico di uno degli artisti più sfuggenti e misteriosi del panorama cinematografico internazionale: Terrence Malick. C’è infatti il nome di Malick (Palma d’oro a Cannes nel 2011 con The Tree of Life) tra i produttori del film: “Molte delle persone della troupe avevano lavorato con lui, lo stesso regista è uno dei suoi più stretti collaboratori - racconta Nigro - io sono salito a bordo nel più naturale dei modi: ci ho provato, e ho passato il provino”.


Le dispiace non essere a Venezia?

Da morire. Ma sono in preparazione del film di Costella, le riprese iniziano tra settembre e ottobre. Non posso allontanarmi, sono prigioniero dei tamponi.

Vista da fuori, la Mostra con le mascherine che effetto fa?

Un effetto complessivo buono. È il primo festival a ricominciare in presenza, l’unico ad aver riaperto per davvero: non potrei essere più contento. E trovo giustissimo fare attenzione alla sicurezza, anche perché oggi la gente vede complotti ovunque. Il tipico “io non sono negazionista, ma...”.

The Book of Vision parla di medici: il legame con l’attualità la colpisce?

Sì, adesso è strano pensare di aver preso parte, in tempi non sospetti, a un film che parla della storia della medicina e di come sia cambiato il nostro rapporto con i medici. Anche se secondo me è una storia che ha a che fare più con i temi massimi della vita: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo... Come per i film di Malick, è difficile raccontarne la trama.

Come è cambiato il nostro rapporto con i medici?

Tantissimo attraverso i secoli. Prima il medico ti ascoltava, come se fosse una specie di terapeuta: non ti vedeva come un oggetto cui mettere a tutti costi, prima o poi, una protesi. Oggi l’approccio è più meccanico che emotivo. 

Il covid ha cambiato qualcosa? 

Spero che l’interesse emerso negli ultimi mesi per questa professione non si esaurisca alla propaganda fatta sulle ali della tristezza e del trauma.

In Suburra, la serie Netflix, è il politico Amedeo Cinaglia. Quando l’ultima stagione?

Abbiamo finito di girare. Arriverà. La data non la sappiamo nemmeno noi.

Suburra, serie pre-covid, funzionerà anche nel post?


Lo spero bene. Anzi mi atterrisce pensare ai progetti che parleranno di questo momento, alle fiction sul covid, ai film sul coronavirus. Io non penso che la suburra romana possa  perdere la sua attualità. Roma resta sempre lei: i sampietrini, il parlamento, il Vaticano e la suburra. La sua natura è inestirpabile. Nel bene e nel male. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero