La scrittrice Edith Bruck: «La mia Università si chiama Auschwitz»

La scrittrice Edith Bruck
«La mia Università si chiama Auschwitz, luogo assunto a simbolo del Male tra i 1.635 campi di concentramento nella civilissima Germania e nei Paesi occupati e alleati...

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«La mia Università si chiama Auschwitz, luogo assunto a simbolo del Male tra i 1.635 campi di concentramento nella civilissima Germania e nei Paesi occupati e alleati con Hitler, compresa l’Italia». Lo ha detto Edith Steinschreiber, in arte Edith Bruck, scrittrice di fama internazionale, ricevendo oggi a Macerata la laurea magistrale honoris causa di Unimc in filologia moderna.


Quella di Auschwitz, ha aggiunto, è «un’Università dove si impara tutto per sempre, anche a conoscere se stessi, l’antropologia, la filosofia, la storia, la psicologia, la fede e la religiosità, il valore della vita e del pane». «Ma si scopre anche - ha detto poi - la luce nel buio quanto un soldato ti domanda “Come ti chiami?” che ti sembra la voce del cielo, non sei solo il numero 11152. Esisti! E per ciò speri ed esci migliore da quell’inferno: non potrai mai essere razzista, fascista; non discriminerai mai nessuno; non assomiglierai mai ai tuoi persecutori».

Durante la cerimonia, il rettore dell’Ateneo maceratese Francesco Adornato, ha ricordato le motivazioni della laurea, riconoscendo «il profondo valore umanistico e letterario della scrittura di Edith Bruck e il contributo offerto dalle sue opere alle culture di pace e alle esperienze di costruzione del dialogo e di resistenza civile». La laudatio della scrittrice è stata presentata da Michela Meschini, ricercatrice, critica letteraria e esperta di letterature comparate. «È questa la seconda laurea - ha rivelato Edith Bruck, dopo la cerimonia -, ma la prima era molto fredda e formale, questa avviene in un clima di amicizia, di simpatia, di stima, di affetto». E parlando delle guerre in corso nel mondo ha osservato che «l’umanità non impara mai dagli errori del passato e li ripete sempre. Non c’è niente da fare!».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero