Desplechin: "Nel mio film noir un delitto e tanta solitudine"

Léa Seydoux e Roschdy Zem nel film "Roubaix, una luce" di Arnaud Desplechin
Una città dell’estremo nord francese, Roubaix, uno sbirro dal volto umano, un’aziana uccisa nella notte di Natale, due donne ai margini (alcolizzate, sbandate,...

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Una città dell’estremo nord francese, Roubaix, uno sbirro dal volto umano, un’aziana uccisa nella notte di Natale, due donne ai margini (alcolizzate, sbandate, amanti) sospettate del delitto. E lo splendore della notte che fa da sfondo alle indagini, agli interrogatori serrati, ai colpi di scena: ”Roubaix, una luce”, film prezioso di Arnaud Desplechin passato in concorso a Cannes 2019 e atteso nelle nostre sale a settembre, ha aperto all’arena Nuovo Sacher l’edizione ”en plen air” di ”Rendez-vous”, la rassegna di anteprime francesi ideata dall’Ambasciata di Francia e diretta da Vanessa Tonnini fino al 6 luglio.


UMANITÀ
Il film ha per protagonisti Léa Seydoux, Sara Forestier (le due sospettate) e Roschdy Zem nel ruolo del commissario che non perde mai la pazienza. «Non è un poliziesco ma un noir che, partendo da un crimine, indaga l’umanità di tutti i personaggi, specie quelli che hanno oltepassato un limite», spiega Desplechin, 59 anni, maestro del cinema d’autore francese (La sentinelle, Jimmy P., I fantasmi di Ismaele). «Sono partito da un documentario che ricostruiva l’assassinio di una vecchia signora e da 10 anni continuava a perseguitarmi. Finalmente sono riuscito a ricavarne un film e sono rimasto aderente ai fatti, una novità rispetto al mio cinema basato sull’immaginazione. Ho riportato fedelmente le parole dei personaggi, senza mai giudicarli, con il rispetto che si deve ai sonetti di Shakespeare». Spiega il regista di essersi appassionato all’atipica figura del commissario «che sorride malgrado viva in una solitudine vertiginosa». Al centro del film, aggiunge, «c’è l’umanità delle persone con gli interrogativi che questa si porta dietro: chi è umano, chi non lo è?».

FUTURO
E a proposito di interrogativi, che futuro avrà il cinema duramente colpito dalla pandemia? «Lo si considera in crisi da quando è nato. C’è stato poi l’avvento della tv con cui il nostro settore ha dovuto confrontarsi riuscendo però a non uscirne sconfitto. Non parliamo di questo periodo così drammatico...L’isolamento globale ha fatto esplodere i consumi in streaming, ma per rimanere nella storia un film deve necessariamente uscire nelle sale». Desplechin sta scrivendo una nuova sceneggiatura ispirata al romanzo Inganno di Philip Roth per essere sul set a settembre con attori ancora da scegliere. «Prima del lockdown avevo scritto un racconto di Natale, ero felicissimo e non vedevo l’ora di cominciare le riprese», racconta il regista, «poi il coronavirus ha cambiato gli scenari e le regole del nostro mestiere e io ho dovuto stravolgere i miei programmi alla luce della nuova situazione. D’ora in poi noi autori dovremo imparare ad avere due velocità diverse, una relativa al prima-pandemia e l’altra riferita al presente. E’ faticoso ma appassionante».

CINEFILO 

Cinefilo doc, diveoratore compulsivo di film, Desplechin ha adorato Il Traditore di Marco Bellocchio e C’era una volta a...Hollywood di Quentin Tarantino: «Hanno segnato l’ultima annata», osserva. Tornare a Roma dopo l’isolamento, confessa, gli ha scatenato sentimenti contrastanti: «Ho provato un enorme piacere nel ritrovare questa città che amo tanto ma nello stesso tempo vederla svuotata, quasi addormentata, mi ha procurato una malinconia violenta». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero