Denis Krief: «La mia Aida a Caracalla, una Mata Hari tra le Piramidi»

Aida alle Terme di Caracalla dal 4 luglio al 3 agosto, regia di Denis Krief
«Non posso deludere i romani. Aida che torna a Caracalla dopo otto anni avrà il suo Egitto. Una Piramide dorata, come il colore delle cupole quando sole batte sulle...

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«Non posso deludere i romani. Aida che torna a Caracalla dopo otto anni avrà il suo Egitto. Una Piramide dorata, come il colore delle cupole quando sole batte sulle dune di sabbia. Ma Dumbo e lo zoo, no. Gli animali li lasciamo al circo».

 

Denis Krief presenta la sua regia del capolavoro verdiano che inaugura il 4 luglio la nuova stagione estiva del Teatro dell’Opera. Sul podio Jordi Bernàcer, con Vittoria Yeo e Serena Farnocchia che si alternano nel ruolo del titolo, Alfred Kim e Diego Cavazzin in quello di Radamès, Judith Kutasi e Silvia Beltrami in Amneris, Marco Caria e Andrii Ganchuk in Amonasro.

Per le Terme questo è un titolo iconico.
«Infatti. E il mio è un atto d’amore nei confronti del pubblico. Ho scelto di non trascurare la tradizione interpretativa, senza dimenticare, però, che in Aida i momenti intimi sono più numerosi di quelli grandiosi. In un teatro al chiuso, senza lo scenario che c’è qui, forse avrei fatto un lavoro diverso».

Come ha raggiunto l’equilibrio?
«Ho riprodotto i bozzetti originali di Verdi, per poi ridurre lo spazio quando la storia assume un carattere privato. Come se le scene antiche facessero da cornice ai passaggi interiori da portare in primo piano. Un collage tra Verdi e il XXI secolo».

Come definisce la sua Aida?
«Una donna che vive un confitto profondo, un personaggio del teatro classico francese, alla Corneille. Per poi evolvere in una seduttrice di fine ‘800, un po’ Mata Hari, che si impossessa di segreti militari. Ma è anche protagonista un triangolo amoroso che ricorda Truffaut».

Una femminilità a cavallo di più secoli?
«Trovo meravigliose le incoerenze e certe imprecisioni del teatro musicale, guai a modificarle o ridurle a una lettura razionale. Verdi stesso evoca il tempio di Vulcano e fa sventolare bandiere che non hanno nulla a che fare con l’Egitto, ma con una Egittomania che ha contaminato le mode».

Qual è il suo tocco registico?
«Credo che la scenografia racconti quello che dovrebbe essere e la regia quello che effettivamente è. Non amo piazzare attualità da telegiornale, né credo che ci sia bisogno di spingere su contenuti politici. Stalin cambiava i finali per non far disperare il pubblico». I costumi? «Se si lasciano le tuniche e non si fanno recitare i cantanti in giacca e cravatta, non significa che i contenuti eterni e contemporanei di un’opera non arrivino. Certo, ho evitato di presentare gli schiavi a petto nudo, come giravano allora».

Progetti?
«Capuleti e Montecchi con il Costanzi. Si muoveranno in una città divisa in clan, con uno Stato che non si assume il suo ruolo. Quando la regina Elisabetta vide lo spettacolo commentò: ma non c’è un re?».

Terme di Caracalla, via delle Terme di Caracalla. Dal 4 luglio al 3 agosto.
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Il Messaggero