La storia della sua scoperta sarebbe degna di un best seller in stile Dan Brown. Un’avventura sul filo dell’emozione, fatta di capolavori nascosti, chiese di campagna,...
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A scoprire il capolavoro fu la storica dell’arte Irene Baldriga, mentre eseguiva dei sopralluoghi in preparazione della mostra curata da Silvia Danesi Squarzina. Tappa, Bassano Romano, chiesa di San Vincenzo Martire. «Fui fortunata - ricorda - quel giorno incontrai un monaco che mi fece entrare in sacrestia. E lì notai la statua: era cementata su un altarolo e impolverata». Eppure ne comprese la qualità: «Da vicino notai la vena nera che caratterizza il volto. Immediatamente la ricollegai alle fonti che parlano dell’abbandono da parte di Michelangelo per quel difetto». Fu determinante la ricerca della studiosa Ludovica Sebregondi Fiorentini, che aveva pubblicato le lettere di Francesco Buonarroti e Michelangelo il Giovane, eredi del genio, da cui si evince che il Cristo abbandonato era disponibile sul mercato dell’arte di Roma, potenziale acquisto dei Giustiniani. Fondamentale, riflette Baldriga, fu il restauro di Rossano Pizzinelli: «Fu lui a rimuovere il perizoma di bronzo per verificare la completezza del nudo della statua, conditio per essere opera di Michelangelo». E aveva tutto. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero