Cremonini: «Un lessico del silenzio che oggi dovrebbe servirci da esempio»

Cremonini: «Un lessico del silenzio che oggi dovrebbe servirci da esempio»
di Cesare Cremonini Non è sempre facile ricordarti, caro Lucio Battisti. Si prova un senso di pudore e rispetto per...

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di Cesare Cremonini


Non è sempre facile ricordarti, caro Lucio Battisti. Si prova un senso di pudore e rispetto per l'uomo che sei stato, una cautela particolare nello scrivere. Uomo. Non solo grande Artista. La tua lotta che sembrava feroce e incompresa, combattuta a suon di canzoni senza tempo e sottrazioni dalla vita pubblica, alla riconquista del prezioso io che ti pulsava dentro, oggi vale tanto quanto il tuo ricordo musicale. L'aver sprovincializzato la musica popolare italiana senza perdere la sua tradizionale forza melodica, attraversando epoche diverse senza rinunciare mai alla crescita personale e musicale è un tuo merito altissimo e per me come la luce abbagliante di un grande faro.
Ma la consapevolezza che hai dimostrato nella difesa della tua fortissima umanità parla una lingua meravigliosa e sconosciuta di questi tempi. Un lessico del silenzio che sembra gridare anche più forte del tuo stesso mito, di quel personaggio scompigliato che i giornali e le tv, malgrado gli innumerevoli successi, ti avevano cucito addosso. Dunque la ricorrenza di quello che sarebbe stato il tuo settantacinquesimo anno di vita ci chiede con forza qualcosa di scomodo e complesso su cui riflettere: si può essere ancora grandi, oggi, senza apparire? «Fammi un'altra domanda, che non riesco a parlare».

LE FAKE NEWS

L'arte dello scomparire restando in volo non è magia per tutti, ovviamente. Eppure i prestigiatori sono a decine nel circo, perché il trucco, quando c'è, è reso invisibile dal binocolo appannato dei social, dalla condivisione meravigliosa che non meraviglia mai, e la costante è la fake news di un'epoca priva di inibizione verso se stessi. «Non la mia immagine, ma le mie canzoni devono parlare per me», dicevi. Sarebbe coraggioso oggi, era coraggioso allora. Rispetto ai quotidiani protagonismi, dominati da un horror vacui diffuso, a cui chiunque, dai politici a noi artisti, dalle figure di spicco del mondo della cultura fino a quei giornalisti assuefatti allo strapotere dei like, non sa più resistere. «Un musicista - dicevi - se la propria musica comunica ed emoziona realmente, non ha nulla da spiegare e null'altro da aggiungere». Eppure qualcosa in più, anno dopo anno, è trapelato dalla tua serratura chiusa a chiave. Quel retropalco del cielo in cui ti eri nascosto, prima estremizzando le sperimentazioni nei dischi, poi eclissandoti insieme ai testi delle tue canzoni dalla vita pubblica, ha conservato al meglio i tuoi nastri e le tue sorprese. Così riascoltando quelle perle, ci viene voglia di provare. E quindi ora, Lucio, come ti dicevo, non so più scrivere, e non so come parlare. I raggi di sole che emettevi con la tua chitarra, le tenebre scure che facevi vibrare con la tua voce preoccupante, i cambi di tono improvvisi e sconvolgenti delle tue canzoni, nella mia testa si sono messi in fila come rondini che tornano a casa, e non sanno più smettere di provare a raccogliere le note che hai lasciato nell'aria e che portano nel becco ancora il tuo canto. Fra poco è mattina, il calore di un'alba di primavera sta per tornare. Buon compleanno! Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero