Cosa resterà del lockdown, Enrico Vanzina: «Quel silenzio che faceva rumore nell'anima»

Cosa resterà del lockdown, Enrico Vanzina: «Quel silenzio che faceva rumore nell'anima»
Mi torna in mente una bella canzone di Raf quando si chiedeva: cosa resterà di questi Anni 80? Senza più la voglia di cantare, oggi mi chiedo: cosa resterà...

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Mi torna in mente una bella canzone di Raf quando si chiedeva: cosa resterà di questi Anni 80? Senza più la voglia di cantare, oggi mi chiedo: cosa resterà del lockdown di questi Anni 2020? Per prima cosa il silenzio. Un silenzio inquietante che faceva tanto rumore nell’anima. Ma anche la bellezza del mio centro storico di Roma che faceva bene all’anima. Resteranno le telefonate degli amici che pensavi dimenticati, invece si sono fatti vivi e questo ci ha fatto bene al cuore. Resterà quel tempo scandito dall’appuntamento pomeridiano con la divulgazione dei dati del contagio, dei nuovi ammalati, dei guariti, dei morti. Una sorta di vertigine perversa dalla quale la mente non riusciva a liberarsi. Resterà la presa di coscienza che questo popolo sempre descritto come un popolo di fannulloni, di individualisti, di imbroglioni, di approfittatori, di cinici, in realtà è composto da battaglioni di persone perbene, civili, ordinate e disposte al sacrificio. Resterà il dramma misto anche a una buona dose di commedia quando il potere, centrale, regionale e dei sindaci si è trovato di fronte al problema di gestirlo il suo potere. Il digitale dell’Italia che avanza che si scontra con la sempre viva e vegeta Italia di Totò. Totò sempre in agguato nei comunicati, nei decreti, nelle scelte burocratiche. Resterà la voglia di libertà, una parola della quale avevamo dimenticato il senso. E resta la voglia di difenderla la nostra libertà. Perché ce la meritiamo. Io, poi, ho maturato una convinzione: non voglio più scappare su un’isola deserta.
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Il Messaggero