Chronic, Tim Roth fa l'infermiere “innamorato” dei suoi malati

Chronic, Tim Roth fa l'infermiere “innamorato” dei suoi malati
dal nostro inviato CANNES Doveva essere un film messicano, è diventato un film americano. La protagonista era una donna,...

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dal nostro inviato


CANNES

Doveva essere un film messicano, è diventato un film americano. La protagonista era una donna, adesso invece è Tim Roth, che si è innamorato dello script di Michel Franco e gli ha chiesto di riscriverlo su misura per lui. Ne è uscito un film un po’ ibrido, coraggioso ma non fino in fondo, sulla figura di un infermiere specializzato nell’assistenza ai malati terminali che sviluppa una sorta di dipendenza dal suo lavoro. O meglio dal rapporto così speciale che sviluppa con quei pazienti colmandoli di attenzioni, intuendone bisogni e emozioni, entrando in sintonia con loro più dei loro stessi familiari, che non sempre la prendono bene.



Franco è abbastanza bravo e rigoroso per evitare le trappole più ovvie. Il film è serio, equilibrato, non nasconde davvero niente ma non insiste troppo sui dettagli più sgradevoli, evita musiche e trovatine di sceneggiatura. E intanto poco alla volta illumina questa figura ormai così diffusa di “parente a tempo determinato”, anche se il personaggio interpretato da Tim Roth è tutt’altro che tipico.



Peccato per quel finale brusco e didascalico, che accentua la sensazione di un’occasione rimasta un po’ a metà strada. Anche perché ormai letti d’ospedale, badanti, agonie, malattie, non sono più un tabù ma stanno diventando un sottogenere a parte del nostro cinema. Una sfida in più alla nostra capacità di comprendere, immaginare, raccontare la vita, proprio nel momento in cui sembra venire a mancare. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero