Dalla commedia “giovanile”, che imperversa tristemente nel cinema italiano a quella “senile” ma molto più allegra di Buoi a nulla. Fosse l’età dei personaggi a...
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In Buoni a nulla, più che un’età è di scena un carattere. O forse un vizio, peraltro poco praticato di questi tempi. La mitezza, il rifiuto dell’aggressività. Che può essere rassegnazione ma anche saggezza e disincanto. Almeno se gli altri non ne approfittano troppo. Come capita appunto a Di Gregorio, impiegato e divorziato che invece di andare in pensione si vede trasferire in una sede di periferia (e subito ex-moglie e figlia cercano di prendergli casa per mandarlo a vivere vicino all’ufficio...).
Dove però, vedendo un altro se stesso nel collega buono e servizievole fino alla dabbenaggine (impagabile Marco Marzocca), imparerà finalmente a reagire, dimostrandosi all’occorrenza cinico e scaltro. Per poi insegnare a dire ”no” anche al pacifico collega. Provocando una serie esilarante di sconquassi che avrebbero potuto fare di Buoni a nulla una commedia strepitosa se l’autore-attore fosse andato fino in fondo. Anziché contentarsi, un po’ come il personaggio, di indicare la strada.
Poco male: in un cinema conformista come il nostro, Buoni a nulla resta un esempio di inventiva e libertà. Scritto con grazia addosso ai corpi e ai volti non omologati degli attori (Valentina Lodovini, Anna Bonaiuto, Marco Messeri, Daniela Giordano, Gianfelice Imparato). Senza dimenticare i due fantastici vicini di casa, Giovanna Cau e Ugo Gregoretti, poche battute in cui però c’è tutto un mondo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero