Blade Runner 2049, Los Angeles è ancora più infernale: in città arriva Gosling il bounty killer

Blade Runner 2049, Los Angeles è ancora più infernale: in città arriva Gosling il bounty killer
Abbiamo appena visto una cosa che, forse proprio perché siamo umani, avremmo immaginato facilmente: si vuole fare anche di Blade Runner una bella saga redditizia magari...

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Abbiamo appena visto una cosa che, forse proprio perché siamo umani, avremmo immaginato facilmente: si vuole fare anche di Blade Runner una bella saga redditizia magari dalle infinite repliche. Non è ironico, visto che si parla dell'opera magna sui replicanti? Questo atteso secondo atto alle vicende narrate nelle sette edizioni precedenti del capolavoro originale, insuccesso di pubblico e critica (mai dimenticarlo), del 1982 firmato Ridley Scott è bello sì ma soprattutto interlocutorio. La Los Angeles del 2049 ricreata senza troppa computer graphic dal regista Denis Villeneuve è, se possibile, ancora più infernale di quella del 2019 per via di carestie, radiazioni, guerre e ologrammi pubblicitari 3d giganti capaci di impregnare l'atmosfera di alienazione e mestizia rispetto a quel piovoso ma più colorato brulichio multietnico in grado di cambiare nel 1982 il nostro immaginario collettivo.


NUOVO AGENTE
C'è un nuovo agente blade runner in città pronto a ritirare alcuni lavori in pelle. Il suo nome è KD6-3.7 (Ryan Gosling) abbreviato a K per i burocrati e Joe per gli amici (se li mettete insieme viene fuori la traduzione anglofona del Josef K protagonista de Il processo di Kafka). In questo presente i replicanti sono mansueti e ligi al dovere (erano gli androidi Nexus 6 capitanati dal Roy Batty di Rutger Hauer a sognare l'emancipazione via morte del creatore) e allora forse l'indagine del Dipartimento di Polizia di Los Angeles dovrà essa stessa andare indietro nel tempo prendendo in considerazione specificamente quegli anni subito successivi al 2019 attraverso la ricerca del miglior bounty killer di lavori in pelle del passato Rick Deckard (Harrison Ford) per mezzo di chiacchiere con ex colleghi o conoscenti (si cita l'indagine a ritroso di Quarto potere di Welles), ascolto di vecchi nastri con dialoghi del 1982 (che emozione), analisi minuziosa dei pochi indizi e sporadiche colluttazioni.
 

È un buon sequel perché replica con affetto speciale gli ingredienti del primo menu liberamente tratto dalla fantascienza letteraria di Philip K. Dick: tempo inclemente (dall'eterna pioggia ispirata alla Londra di Scott si passa alle bufere di neve familiari al canadese Villeneuve), gadget futuristici (il simulacro dell'intelligenza artificiale casalinga in grado di sintonizzarsi dentro il corpo di una prostituta in carne ed ossa genera una innovativa scena di sesso a tre), scienziati presuntuosi (dall'occhialuto Tyrell al giovane e monacale Wallace di un petulante Jared Leto) e un protagonista investigatore privato nonché provato da eventi, e replicanti, in grado di metterlo in crisi moralmente e non solo.


Le quasi tre ore reggono (tranne per venti minuti finali caotici in sceneggiatura) mentre la musica più affascinante è quella di ieri ovvero un recupero di uno dei temi storici del soundtrack composto 35 anni fa da Vangelis. Fotografia eccezionale di Roger Deakins (l'Oscar deve essere suo e sarebbe solo il primo dopo 13 candidature). Chiudiamo sugli attori: Gosling accessorio, e un po' troppo imbambolato, mentre Ford più pimpante del solito e più coinvolto emotivamente rispetto a Star Wars: Il risveglio della Forza in cui si vedeva che timbrava il cartellino e basta. La sensazione forte è che non ci fermeremo qui. Per Blade Runner 2049, in poche parole, non è tempo di morire.
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Il Messaggero