Barbara Garlaschelli, la sirena torna a nuotare

La scrittrice Barbara Garlaschelli
Un tuffo in mare le cambiò la vita. Da donna a sirena. E con questo titolo scrisse il suo primo romanzo autobiografico. Una vita, ormai da tanto, su una sedia a rotelle....

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Un tuffo in mare le cambiò la vita. Da donna a sirena. E con questo titolo scrisse il suo primo romanzo autobiografico. Una vita, ormai da tanto, su una sedia a rotelle. Con dolore, sofferenza e fatica. Ma sempre con tanta voglia di non piangersi addosso arrivando persino a parlare con autoironia della sua difficoltosa condizione.

Barbara Garlaschelli, dopo anni di noir e di romanzi a tutto tondo, torna ora con l’editore Piemme all’autobiografia con “Non volevo morire vergine”. Dal quale è inutile attendersi un manuale del sesso per disabili. Il romanzo è un canto alla vita, alla voglia di fare, di essere come tutti e meglio di tutti.
Nessuna lezione, semmai un resoconto sul quotidiano vivere di una “sirena” che ha sempre deciso di nuotare e giammai di galleggiare.
Ma lasciamo a Barbara il diritto-dovere di essere più esplicita.
 
Lei aveva già affrontato con Sirena l'episodio che purtroppo la costringe da anni su una sedia a rotelle. Vuole essere una scrittrice che, casualmente, è disabile oppure una disabile che fa la scrittrice?
 «Io sono una scrittrice che, casualmente, è diventata disabile.​ ​Però, con gli anni, mi sono resa conto che essere disabile influenza anche il mio modo di scrivere (la fatica nel respirare, per esempio, mi induce a un fraseggio breve) che è sia scelta stilistica sia adattarsi alle esigenze del corpo, e il mio modo di vedere il mondo e gli altri: dal basso verso l'alto. Nascosta spesso dalla folla che mi deambula attorno. Un punto di vista interessante». ​
 
 Naturalmente anche "Non volevo morire vergine" è autobiografico. Non ritiene l'autobiografia una specie di guscio narrativo?
 «Non mi sono mai posta il problema. Ci sono storie che ho voluto raccontare partendo da me perché di me posso rispondere, senza aver la pretese di rappresentare una categoria. Certo, la vittoria la si ottiene quando da personale una storia diventa universale perché in molti ci si riconoscono. Come è accaduto in Sirena. Non solo chi ha avuto una lesione vertebrale ha visto rispecchiate le proprie paure, le gioie, i dolori. Si tratta di emozioni e sensazioni universali»​
 
 Lei ritiene di saper scrivere in modo da appassionare al di là delle sue esperienze narrate in prima persona?
 «Sì».​
 
Anni fa lei ha sfiorato l'ingresso nella cinquina finale del premio Strega. Pensa che i finalisti fossero più bravi di lei?
 «No, penso che abbiano avuto più fortuna».

Anche lei ritiene che per la donna sia più arduo ottenere considerazione nel mondo dell'editoria?

 «Per le donne è più difficile in qualunque ambito. Inutile fare la spavalda e affermare che non c'è discriminazione. C'è, ed è parecchia. Per arrivare in alto una donna fa il doppio della fatica. Ma ci si arriva se si è molto determinate». ​
 
Con "Non volevo morire vergine" pensa di offrire una testimonianza utile a chi è nelle sue condizioni, o piuttosto a chi non lo è?

​«Spero di offrire una testimonianza, di raccontare una storia che coinvolga tutti. Non mi permetto di pensare di poter essere utile, non perché sia modesta, ma perché non è mia intenzione scrivere per essere utile bensì per suscitare interesse, curiosità, coinvolgimento».
 
Dica tre cose che le piacerebbe ottenere da questo romanzo.

«Successo, denaro, più lettori (che poi è un po' la prima che ho detto)​».
 
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Il Messaggero