Aretha Franklin, arriva una serie tv dedicata alla regina del soul

Aretha Franklin, arriva una serie tv dedicata alla regina del soul
È stata annunciata l'uscita della terza stagione di Genius, serie antologica in onda negli Usa su National Geographic, che vedrà come protagonista la regina del...

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È stata annunciata l'uscita della terza stagione di Genius, serie antologica in onda negli Usa su National Geographic, che vedrà come protagonista la regina del Soul, Aretha Franklin, interpretata da Cynthia Erivo, vincitrice di un Tony Award (2016), un Grammy (2017) e un Emmy (2017). La serie conterà otto episodi che andranno in onda nell’arco di una settimana. Non si sa ancora quando arriverà in Italia, ma presumibilmente sarà disponibile a distanza di poche settimane dall’uscita americana, così come è stato per le prime due stagioni della serie. Qui di seguito un ricordo del 1971, quando la leggendaria vocalist americana fu in Italia la star internazionale del Cantagiro.

 

Mezzo secolo fa, nel lontano 1971, il vostro cronista (già batterista dei Flippers, gruppo del quale facevano parte Lucio Dalla, Massimo Catalano, Jimmy Polosa, Franco Bracardi, Maurizio Catalano e Romolo Forlai: era una band che nei primi anni Sessanta vendette più di quattro milioni di dischi (un milione lo fecero I Watussi, inciso insieme a Edoardo Vianello) e che ancora oggi si diverte a suonare alla faccia degli 80 anni dei suoi componenti) seguiva per il Messaggero il Cantagiro, la rassegna ideata da Ezio Radaelli che girava tutta l’Italia (da Montesano Terme a Ancona, Ladispoli, Milano, Benevento, Recoaro...) con una lunga carovana di macchine e un fiume di cantanti, da Albano e Romina Power a Fausto Leali, Little Tony, Ombretta Colli, Mino Reitano, Gianni Morandi, Nada e così via.


Il cronista lo faceva con la sua auto e da bravo musicista nel portabagagli aveva un po’ di piatti, tamburi, bacchette, spazzole e percussioni, come una coppia di bongo che ancora oggi è viva e vegeta. La star straniera dell’edizione 1971 era la grande Aretha Franklin, e i primi giorni furono per lei non privi di problemi: la vocalist di Memphis, Tennessee, scomparsa nel 2018 a Detroit mentre preparava un disco insieme a Stevie Wonder (da qualche parte sono nascosti ancora due brani incisi dalla coppia), aveva scoperto il Chianti.
Ne comprava un fiasco al giorno, se lo beveva e quindi non riusciva a salire sul palco finché non glielo sequestrarono rendendola sobria. Aretha cantava il suo straordinario mix di soul e rhythm & blues insieme a Sam & Dave (Sam Moore dalla Florida e Dave Prater dalla Georgia) con brani come Respect (firmato da Otis Redding), Chain of Fools, (You Make Me Feel Like) a Natural Woman, I Say a Little Prayer, Think e via di questo passo.


Noi seguivamo la routine, viaggiando per quasi un mese luogo dopo luogo, ma in gran parte dei concerti, che alla resa dei conti erano uno uguale all’altro, ci annoiavamo salvo quando in scena c’era lei, la regina del soul, le cui esibizioni erano sempre un luminoso faro nel cielo della black music. E così una sera, a una tappa in Toscana, frugammo nel portabagagli, salimmo sul palco, ci sedemmo furtivamente in un angolo della pedana, fuori dalla luce dei riflettori, e cominciammo ad accompagnare con i nostri bongo (di solido legno, come vuole la vecchia regola) il rhythm & blues di Aretha, Sam & Dave e compagni. Temevamo di essere cacciati a calci, e invece no: fummo accettati, per di più con la gratifica di qualche complice sorriso, e dopo i primi giorni, miracolo, ci misero persino un microfono che captava le nostre percussioni.
Fu una bella serie di emozioni. All’inizio sembrava un’esperienza che ben difficilmente si sarebbe ripetuta, ma nonostante le nostre pessimistiche previsioni durò diversi giorni, fino alla fine del tour, e sera dopo sera diventò quasi una deliziosa abitudine, al punto che la divina Lady Soul, ormai senza Chianti e quindi sempre in perfetta forma, salendo in palcoscenico qualche volta ci strizzava addirittura l’occhio.

Mezzo secolo dopo, magari rivedendola nello storico film Blues Brothers alle prese con brani diventati ormai leggendarii, qualche lacrima, inutilmente nascosta, è d’obbligo, anche se la leggenda vuole che il vero cronista, quello che ogni tanto vediamo nei film americani, sia un duro con un cuore cinico e senz’anima, o se preferite senza soul. Grazie, Lady Soul, per non averci mai cacciati via: il ricordo di quelle magiche performance non sarà mai cancellato.

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Il Messaggero