Prima la scoperta di quei mosaici figurati che riaffioravano dalla terra, poi gli anni di scavi e indagini che hanno riportato alla luce una vasta dimora aristocratica, e, ancora,...
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Un complesso archeologico monumentale che ha svelato almeno 320 metri quadrati di superfici rivestite da mosaici preziosi, e che oggi appare completamente protetto da una struttura hi-tech, elegante e moderna, concepita in laterizio monocromo e sostenuta da pilastri d’acciaio in rosso pompeiano (tra le più ampie esistenti in Europa per un’area archeologica). Un intervento importante, promosso dalla Fondazione Aquileia, presieduta dall’ambasciatore Antonio Zanardi Landi, finanziato con 6 milioni di euro grazie alla Regione Friuli Venezia Giulia e il contributo di ALES S.p.A., la società in house del Mibact, guidata da Mario De Simoni, sotto la supervisione scientifica della Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia.
«L’aspetto più straordinario e innovativo di questo progetto riguarda la restituzione della volumetria di una domus romana, che consente non solo di far comprendere il suo ingombro spaziale ma anche di compiere un percorso all’interno, percependo i pieni e i vuoti, le fonti di illuminazione, il rapporto fra le sale principali e le aree scoperte», racconta Francesca Ghedini, professoressa emerita di archeologia classica. «Alle spalle di questo intervento - continua la Ghedini - c’è un rigoroso progetto scientifico che, per quanto riguarda la parte archeologica, è stato portato avanti dall’équipe dell’Università di Padova».
Qual è l'esperienza offerta al pubblico? «Il visitatore per la prima volta potrà passeggiare all’interno di una casa romana, una delle più antiche, di cui si conoscono i mosaici pavimentali distribuiti nelle numerose aree archeologiche nella città», aggiunge Francesca Ghedini. Quali sono le particolarità della Domus? «La domus di Tito Macro è la prima, e, al momento unica, casa ad atrio rinvenuta ad Aquileia - continua Ghedini - Ed è proprio la presenza dell’atrio, ambiente destinato ad accogliere i clientes del proprietario, che viene abbandonato nel corso della prima età imperiale, a garantire dell’antichità del primo impianto della casa, che poi, negli anni ha subito, come avviene anche oggi, vari rimaneggiamenti; ma l’atrio è orgogliosamente rimasto a testimonianza dell’alto livello sociale del proprietario». Il percorso di visita sarà presto completato da un progetto miltimediale «consentendo al pubblico, che oggi percepisce soltanto i rapporti dimensionali fra le parti, di comprendere anche la funzione dei vari ambienti», precisa la Ghedini.
Jacopo Bonetto, ordinario di archeologica classica all’Università di Padova e direttore delle ricerche archeologiche nei Fondi Cossar entra nel dettaglio del complesso archeologico: «È l’unica domus che offre la rappresentazione dei volumi originari con luci e spazi ripresi dal passato».
Il Messaggero