American Honey, il nuovo "On the road" e il capitalismo selvaggio

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dal nostro inviato


Una ragazza senza arte né parte, con due fratellini a cui badare e una madre che se ne frega di tutto, salta su un furgone carico di coetanei e scappa dal Texas natale per tentare l’avventura lungo le strade del Midwest (e non del Sud come dico erroneamente nel video). La missione è vendere riviste porta a porta, un articolo difficile nell’era digitale, ma oltre a magazines e abbonamenti i ragazzi vendono un po' anche se stessi, la loro faccia, le storie che si inventano con disinvoltura totale per dare ai potenziali acquirenti quel pezzetto di sogno che si aspettano da loro. È un mondo durissimo, vero capitalismo selvaggio, per giunta “dal basso”, ma tutt’altro che immaginario.
La regista, l’inglese Andrea Arnold (Red Road, Fish Tank, Cime tempestose), ha fatto una lunga inchiesta prima di girare questo American Honey, interpretato quasi solo da non professionisti o debuttanti assoluti (con due eccezioni importanti, Shia La Beouf e Riley Keough, il miglior venditore e la spietata capogruppo) come la protagonista, la 20enne Sasha Lane. Il risultato, malgrado lungaggini e qualche compiacimento, è abbastanza impressionante. E non in senso banalmente sociologico, ma per la capacità di estrarre disperazione, struggimento, desiderio, bellezza, dai corpi, dai paesaggi, dal ritmo forsennato con cui tutti vivono le loro esistenze avventurose e assolutamente precarie, accompagnati da una colonna sonora selvaggia e incessante fatta soprattutto di country e di trap, un genere musicale vicino all’hip hop. Un vero film da festival finalmente, di quelli che si spera di vedere in sala (magari con qualche premio sulle spalle). Anche se vista la durata monstre, quasi 3 ore, non sarà facile, almeno in Italia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero