Fino a qualche settimana fa, con la passione di sempre, Fabrizio Zampa aveva continuato a scrivere sulle pagine del Messaggero, il suo amatissimo giornale fin dal 1970 quando era...
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Fabrizio aveva una gioia di vivere e un ottimismo di fondo che fino all’ultimo gli hanno regalato un’invidiabile leggerezza, quasi fanciullesca. Pur essendo un pezzo da novanta del giornalismo musicale, era il miglior collega che uno si potesse augurare. Sincero, leale, sempre pronto a dare una mano. Non ha mai smaniato per far carriera, né fatto sgambetti o cercato scorciatoie. Se in redazione c’era lui, tra un aneddoto e una battuta il lavoro fluiva più facile, più svelto, più gioioso. Si rimaneva incantati a sentirgli raccontare i suoi viaggi, i suoi incontri con i grandi del pop e del jazz.L’amore per la musica ha nutrito la sua carriera e i suoi scoop: toirnano alla mente il leggendario reportage da Woodstock, l’incontro con Bob Marley all’Isola di White, i mille festival di Sanremo seguiti da cronista, e poi Castrocaro, Canzonissima, le interviste ai big. Importante nella sua storia professionale è stata poi la lunga stagione televisiva come inviato di ”L’altra domenica”, dove Renzo Arbore lo chiamava ”l’inarrestabile Zampa”.
Figlio del grande regista Luigi Zampa, Fabrizio aveva respirato cinema fin dalla più tenera età: Alberto Sordi lo considerava un nipote. Ma lui aveva scelto la musica. E con i Flippers, con cui negli anni Duemila aveva celebrato una storica réunion, firmò successi discografici come ”Siamo i Watussi” e ”Hully Gully”. Prima di approdare al Messaggero, era stato fotografo professionista. Adorava i viaggi esotici, le piante (in particolare i banani), la tecnologia (era stato uno dei pionieri nell’uso del computer), il jazz. Mancherà moltissimo a tutti: agli amici, ai colleghi, ai musicisti, ovviamente alla grande famiglia del Messaggero di cui fino all’ultimo ha orgogliosamente fatto parte. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero