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L'emergenza pandemica è alle nostre spalle. Dall’arrivo della coppia cinese allo Spallanzani, primi casi di Covid su territorio italiano, all’isolamento del virus, fino all’arrivo dei primi vaccini, nulla sarebbe più stato come prima. Sono stati anni cruciali e difficili, durante i quali l’istituto che dirigo si è dimostrato un vero baluardo per il nostro Paese nella lotta contro la pandemia. Un simbolo della buona sanità italiana e della sua validissima ricerca che ha varcato i confini nazionali, così come plasticamente testimoniato dalla nostra presenza al G20 tenutosi a Roma nell’ottobre 2021: i camici bianchi tra i grandi della terra. Un riconoscimento importante, meritato sul campo, avendo dimostrato che una sanità performante e orientata alla tutela della Persona è possibile.
Una sanità sostenibile e virtuosa
Una sanità sostenibile e virtuosa, anche sotto il profilo economico, come dimostra l’attivo di bilancio dell’Istituto. In tempo di analisi e valutazioni si richiamano i dati: oltre 7.000 pazienti ricoverati e assistiti per Covid-19 nel nostro ospedale in questi anni e oltre 5.000 positivi a rischio di grave progressione clinica trattati tempestivamente in regime ambulatoriale con antivirali e anticorpi monoclonali per scongiurarne l’ospedalizzazione. Al di là dei numeri, che ci accomunano a tante realtà eccellenti diffuse sul territorio, non dobbiamo mai dimenticare i volti sofferenti e spaventati dei pazienti. Il dolore dei familiari impossibilitati a visitarli. I volti, stanchi ma appassionati, di tutti i colleghi che, dai laboratori agli uffici amministrativi, passando ovviamente per i reparti di assistenza, hanno lottato per la sconfitta del virus. Sconfitta che, è bene ribadirlo, non sarebbe stata ugualmente raggiungibile senza la grande arma della prevenzione. Ricordo bene quel 27 dicembre 2020 in cui proprio allo Spallanzani ebbe inizio simbolicamente la campagna vaccinale italiana. Un’emozione intensa: i primi vaccini, tanto desiderati. Percepimmo da subito che la primavera di rinascita che oggi viviamo sarebbe stata più vicina. Per raggiungere questo traguardo non siamo mai rimasti dentro il perimetro del nostro ospedale: fu subito chiaro infatti che attendere l’evoluzione dell’epidemia non sarebbe bastato e che occorreva piuttosto una strategia di attacco che inseguisse il virus lì dove si sviluppavano i focolai. Iniziammo con uno screening della popolazione del comune di Nerola.
Le Unità speciali di continuità assistenziale
Su quel modello si sarebbero poi formate le Unità Speciali di Continuità Assistenziale Regionale (Uscar), che l’istituto ha coordinato garantendo il controllo e il monitoraggio dell’infezione sul territorio, mediante attività di prevenzione, assistenza e cura, esportando rapidamente fino al domicilio del paziente nuovi strumenti e strategie, dalla diagnostica performante alle terapie più innovative già sperimentate in ospedale.
Penso agli anziani, ma anche ai giovani, particolarmente penalizzati dai prolungati lockdown: quando sei un adolescente affamato di vita e di socialità, le quattro mura di una cameretta possono diventare una prigione di solitudine e paura. Di queste ferite, che rimangono anche dopo la fine dell’emergenza, dobbiamo ora prenderci cura tutti insieme, come sistema Paese. Nessuno può illudersi di vincere da solo le sfide del futuro: servono risposte di sistema, che siano all’altezza della complessità e della multidisciplinarietà degli interventi richiesti. Nel mondo della Sanità Pubblica chiamiamo questo approccio “sindemico”, che vuol dire riconoscere lo stretto rapporto tra la salute umana, il contesto socio-economico e l’ambiente. È un cambio di paradigma enorme ma necessario se vogliamo fronteggiare adeguatamente minacce come l’antimicrobico-resistenza e le malattie emergenti. In questo, la ricerca avrà un ruolo ovviamente fondamentale. Allo Spallanzani, dove la crescita dell’attività scientifica è testimoniata tra l’altro da un forte incremento dell’impact factor delle pubblicazioni scientifiche (del 15% nel 2021 rispetto al 2020 e del 31% nel 2022 rispetto al 2021), stiamo già lavorando in questo senso, progettando laboratori ancora più innovativi, per proiettarci oltre i confini che già conosciamo.
I nuovi virus che ci aspettano
Ci attendono nuove sfide, nuovi ambiziosi traguardi. Penso in primis all’antimicrobico-resistenza, tema di cruciale importanza, tanto più se consideriamo che ogni anno in Europa un terzo delle morti causate da questa problematica si verifica proprio in Italia. Penso poi alle malattie cronico-degenerative e a quelle tumorali, che nel periodo pandemico sono passate purtroppo inevitabilmente in secondo piano. È necessario intervenire anche in questo settore, impegnandoci nello studio di microrganismi ingegnerizzati come approccio innovativo per la prevenzione e cura di alcune neoplasie ed approfondendo meglio l’interazione virus-cellula ospite, offrendo utili spunti per combattere molte di queste forme patologiche.
Penso infine allo sviluppo di candidati vaccini per la terapia dei tumori, un campo affascinante e di grande interesse per le enormi possibilità offerte dalle nuove piattaforme a mRNA. Superare i confini quindi significa necessariamente uscire dall’autoreferenzialità e dalle torri d’avorio: è importante mettere in rete le competenze, soprattutto con l’industria, che dovrà essere partner indispensabile per tradurre la ricerca dei grandi centri del nostro Paese nello sviluppo di prodotti fruibili dalla popolazione. La politica e le istituzioni mettano il distretto farmaceutico laziale, già punto di riferimento per il Paese, nelle condizioni di accogliere le sfide del futuro per la produzione di vaccini e terapie sempre più performanti: ricerca e industria insieme potranno essere davvero volano per il rilancio del nostro tessuto socio-economico.
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