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La palla rotola, ventidue calciatori la inseguono, e i romani accorrono a frotte, che diventano milioni. Sempre stato così. Fin dai tempi di Re Umberto I e della Regina Margherita, anno di grazia 1895, il venticinquesimo senza il Papa Re, quando davanti a ventimila spettatori si giocò la prima partita con pubblico di cui si abbia memoria, al di qua e al di là del Tevere. La Capitale e il calcio: una cosa sola. Chiamatela passione, o perversione, o religione pagana. Qui si va allo stadio, sempre e comunque. A Roma si è assistito da oltre cent’anni a ogni partita di pallone possibile e immaginabile, di qualsiasi livello, comprese due finali dei Mondiali.
I templi del pallone
A proposito di religioni: com’è giusto che sia hanno i loro templi, e a Roma ce ne sono per tutte le confessioni e da un paio di millenni abbondanti, quindi anche il calcio ha il suo. È un giovincello di 70 anni appena compiuti, che quando fu inaugurato nel 1953 si chiamava Stadio dei Centomila perché la capienza era eccezionale; ora i tempi sono cambiati, ci si rimpicciolisce perché le grandi folle intasano il traffico, quindi lo stadio, che si chiama Olimpico dal 1960, ora ospita al massimo a 65-70mila persone. Ma è sempre pieno ugualmente, ancora, soprattutto in questa temperie di ritorno della convivialità post-Covid, che giochino la Roma o la Lazio, o la Fiorentina e l’Inter nell’ultima finale di Coppa Italia. L’Olimpico, all’inizio Stadio dei Cipressi, poi “dei Centomila”, ideato, allestito e ristrutturato in tre fasi tra il 1927 e il 1953 da architetti come Enrico Del Debbio, Luigi Moretti e Annibale Vitellozzi; l’Olimpico che era una cosa meravigliosa e unica al mondo quando non aveva la copertura e si apriva davanti ai marmi del Foro Italico, ai suoi pini, alla Farnesina e alla collina di Monte Mario, un catino di accecante eburnea bellezza che si spalancava al cielo, e lo salutava. Non abbiamo mai visto nulla di così bello girando per gli stadi del pianeta, perché l’armonia tra bellezze naturali e architettoniche del Foro Italico non ha, non aveva eguali. Ma il futuro sembrerebbe avanzare. Lo stadio di Pietralata pare sia proprio imminente, entro tre anni dovremmo ammirarlo, speriamo apprezzandone anche qui l’utilità e la bellezza, e saluteremo un nuovo tempio del calcio, dopo l’Olimpico. E dopo tanti altri impianti, che hanno segnato la storia di Roma e della sua passione per la palla che rotola.
Il primo derby Lazio-Roma
La prima partita di football in città risale al 18 settembre 1895. A Roma ci sono le celebrazioni per i 25 anni della Breccia di Porta Pia, e tra le varie manifestazioni ecco una partita di pallone, anche se per l’esattezza è una veloce esibizione di “calcio ginnastico”: le regole del football che verrà sono ancora da codificare del tutto. Eppure quel 18 settembre, per il confronto tra la Società di Scherma e Ginnastica Udinese e la Società Ginnastica Rovigo, sono in ventimila al Velodromo Salario in via Isonzo (fu poi abbattuto nel 1904) a osannare Re Umberto I, che cinque anni dopo verrà assassinato a Monza da Gaetano Bresci, e sua moglie Margherita.
Saranno invece in quindicimila per il primo derby di Roma, alla Rondinella, l’8 dicembre del 1929, con polizia e carabinieri a cavallo per prevenire disordini e una schiacciante maggioranza di tifosi romanisti, anche se in trasferta: vince la Roma con gol di Rodolfo Volk. Al ritorno si giocherà al campo Testaccio, progettato dall’ingegner Silvio Sensi padre del futuro presidente Franco: l’altro grande tempio in quegli anni formidabili. La Roma giocherà all’ombra della Piramide fino alla fine degli anni Trenta, per poi migrare come la Lazio allo Stadio Nazionale, dove i giallorossi vinceranno il primo scudetto nel 1942. Al Nazionale, progettato dall’architetto Piacentini nel 1911 e ristrutturato nel 1927, modellato sulla pianta a U allungata dello stadio delle Olimpiadi di Atene 1896, si gioca la finale del Mondiali di calcio del 1934, vinti dall’Italia di Vittorio Pozzo; sarà demolito, e dal 1959 al suo posto c’è lo stadio Flaminio. A cavallo della Seconda Guerra Mondiale Roma e Lazio giocheranno al Nazionale, fino a che non verrà inaugurato l’Olimpico nel 1953, e quella è stata la loro casa finora. Nonché lo stadio che ha ospitato, tra i mille eventi calcistici e di atletica leggera, anche la finale dei Mondiali di calcio del 1990, vinti dalla Germania. Ma è sempre stata soprattutto la tana di Roma e Lazio, dei loro tifosi. Ci hanno vissuto quattro scudetti, due per parte, e ogni emozione possibile, e ormai il loro numero è incalcolabile, dopo 70 anni: saranno stati decine di milioni. E’ la passione di Roma, o la sua perversione, la sua religione pagana. Poi verrà Pietralata, in futuro chissà cos’altro, anche se guardare la meraviglia del Flaminio, una delle tante opere d’arte di Pier Luigi Nervi, ridotta com’è ridotta, fa disperare. Recuperare il Flaminio sarebbe come riattaccare un gran pezzo del cuore di Roma, la città che vive per il calcio e lo sport, e per i suoi templi. Perché le religioni sono una cosa seria.
Il Messaggero