Il cane in ospedale, come terapia. È successo al nosocomio Paolo Colombo di Velletri, primo per i Castelli Romani e secondo nel Lazio, dopo il Bambino Gesù di...
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L’incontro è stato possibile grazie alla figlia della paziente, Daniela, che ne ha fatto richiesta all'ospedale e si è concretizzato per la sensibilità del direttore sanitario del presidio ospedaliero, Felicetto Angelini. Il dirigente, ricevuta l’istanza, si è consultato con il responsabile del Servizio Veterinario della Asl Roma 6 e, presa visione di tutte le certificazioni riguardanti l’animale, ha accolto la richiesta, facendo predisporre un’area ospedaliera allo scopo, ricavata nell’androne dell’edificio. È stata commozione pura per la signora Leandra, che, mentre si chiedeva per quale motivo fosse accompagnata in carrozzina al pianterreno dell’ospedale, si è ritrovata di colpo al centro di un’entusiasmante sorpresa, del tutto imprevedibile. Nello stesso tempo, Gedeone è quasi impazzito alla vista di Leandra, e voleva salire sulle sue ginocchia.
«Ho preso l’iniziativa - racconta Daniela - perché in questi giorni, quando andavo col cane in casa di mio padre, vedevo che Gedeone, un bassotto a pelo lungo nero di 4 anni, preso nel marzo 2015 da un allevatore di Torino, girava per l’appartamento alla ricerca di mia madre, prima di accucciarsi sconsolato. Nello stesso tempo, avvertivo che per mamma, in ospedale, cresceva il bisogno di qualcosa che la potesse distogliere dallo stress psicologico. A casa siamo stati enormemente felici che il direttore sanitario, al quale va tutto il nostro ringraziamento, abbia voluto dare inizio alla più bella terapia di supporto emozionale che un degente possa desiderare, cominciando da mia madre».
Il direttore Angelini, che è anche sindaco di Artena, dice: «Sono fermamente convinto che oltre alle terapie farmaceutiche, siano necessarie ai pazienti anche terapie di tipo psicologico, che possano alleviare loro la sofferenza del ricovero. E quella di poter continuare ad avere un contatto con i propri animali domestici durante la degenza rappresenta un grande aiuto. In prospettiva e sul piano regionale, c’è la speranza che si possano realizzare negli ospedali aree e ambienti atti a soddisfare tale esigenza in maniera stabile». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero