Il Paese dei balocchi, per i ciclisti, esiste davvero. E non si trova nella fantasia, come molti erano arrivati a pensare, ma a Taiwan. È lì, infatti, che vive il signor Asahi...
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In un luogo rimasto ancora segreto - con i malintenzionati e i ladri è sempre meglio regolarsi di conseguenza - e aperto solo per i flash del fotografo del sito web di un gruppo di artigiani di Shangai, questo vecchio leone delle gare su pista conserva un patrimonio inestimabile e invidiabile - non ha eguali per numero, almeno per quanto riguarda le antologie private - costituito da più di seicento mezzi a due ruote. Di tutti i tipi - ogni specialità è rappresentata -, dei più svariati materiali - ma soprattutto d’acciaio - e di molteplici e prestigiose marche - Colnago, Merckx, Serotta, Motta, Tommasini, Bianchi, solo per citarne alcune.
La straordinaria raccolta del signor Chang è iniziata quasi quarant’anni fa, nel 1976. Allora risiedeva in Giappone, dove studiò per cinque anni e si innamorò delle bici da pista - non a caso una altissima percentuale dell'assortimento a sua disposizione è composta proprio da veicoli costruiti per la corsa su velodromo -, cominciando a dar sfogo alla sua passione.
Ad inaugurare la sua collezione, soprannominata propriamente “Bycicle Heaven”, fu una SILK originale, naturalmente in acciaio, dei primi anni Settanta, che l’uomo, per cui ormai le gare sono solo un lontano ricordo, custodisce ancora gelosamente e tiene sempre a portata di mano. Gli altri pezzi, invece, sono stipati ordinatamente tra il pavimento e gli scaffali del suo magazzino, pieno zeppo fino al soffitto, che sembra quasi esplodere e non concedere neanche la possibilità di una camminata.
Oltre a quello d’esordio, tra gli elementi più pregiati di questa incredibile selezione non si possono dimenticare la prima Bianchi C4 in carbonio e l’edizione (completa) numero uno del maestro giapponese Yoshiaki Nagasawa, una delle serie predilette da Asahi Chang. Prediletta quanto, d’altronde, tutte le biciclette costruite tra il 1968 e il 1988. “Quella - ha ammesso - è stata l’epoca d’oro”.
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Il Messaggero