Dai padiglioni ai parchi cittadini: la seconda vita degli alberi di Expo

Nuova vita per gli alberi di Expo
C’era una volta l’Albero della Vita. Era il simbolo dell’Expo 2015 e non a caso rappresentava la forza e l’energia della natura che non ha fine. E che...

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C’era una volta l’Albero della Vita. Era il simbolo dell’Expo 2015 e non a caso rappresentava la forza e l’energia della natura che non ha fine. E che infatti continua ad esserci attraverso le centinaia di alberi che sono stati recuperati dai padiglioni dell’Esposizione universale di Milano. E hanno avuto una seconda chance. Una nuova vita, per l’appunto. Grazie al lavoro di un gruppo di volontari e al sostegno di alcune aziende, 655 fra pini, abeti e dintorni che fino allo scorso 30 ottobre abbellivano gli spazi a Rho, sono stati donati a diverse città e cittadine dove sono stati ripiantati in nome del non-spreco. Un piccolo grande patrimonio che rappresenta la memoria di Expo sul territorio, in gran parte in Lombardia, nell’hinterland milanese (da Bollate ad Arese, da Pioltello a Vignate). Ma anche nel centro Italia, nelle Marche. A Pesaro dove il parco pubblico della città ha adottato altre piante, le preziose rose rampicanti che adornavano il padiglione dell’Oman.


L’idea è venuta a un’architetta paesaggista, Olga Moskvina, che aveva lavorato alla realizzazione delle aree dell’Esposizione dedicate a Qatar, Kip-Onu e appunto Oman. Si è messa in contatto con il Comune pesarese e con tutti gli altri. E dal progetto, dalla teoria di un desiderio si è passati alla realtà. Olga insieme a una quindicina di volontari, tutti amanti dell’ambiente a 360 gradi, ha lanciato l’iniziativa “Recupero verde” e chi ha aderito ha dovuto presentare una mappa dei luoghi dove avrebbe potuto ospitare una “natura ricreata”. Sono nati in questo modo i “Luoghi di memoria di Expo”, con il supporto di da alcuni rappresentanti dell’Esposizione, aziende municipalizzate e Paesi espositori. Come dire, un posto al sole, anzi più di uno, per gli alberi della seconda vita, invece delle ruspe o dei camini in cui sarebbero finiti.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero