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LA DENUNCIA
Ora è uno dei 184 ex dipendenti che hanno deciso di portare avanti una causa contro Sama e Meta per violazione dei diritti umani e risoluzione illegale del contratto di lavoro. Proprio come lavorare duramente nelle fabbriche o inalare polvere di carbone distruggeva i corpi dei lavoratori nell'era industriale, affermano i legali che sostengono la causa, così coloro che lavorano nell'officina digitale dei social media rischiano di avere la psiche danneggiata per sempre. «Queste sono questioni in prima linea per i diritti dei lavoratori di questa generazione», spiega Neema Mutemi, docente presso l'Università di Nairobi che sta aiutando a pubblicizzare il caso.
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GLI INVESTIMENTI
Negli ultimi anni Meta ha investito miliardi per eliminare e controllare i contenuti dannosi, assumendo 40mila persone in tutto il mondo, spesso tramite terze parti, e circa 15mila di queste sarebbero moderatori, secondo le stime del quotidiano britannico. Nel 2019, Meta ha chiesto a Sama di farsi carico della moderazione dei contenuti in lingua africana. L'azienda ha così assunto persone da Burundi, Ethiopia, Kenya, Somalia, Sudafrica e Uganda, offrendo loro un lavoro a Nairobi. Quattro anni dopo, però ha deciso di abbandonare il progetto, chiudendo il contratto con Facebook e licenziando il personale dedicato. Sono tre i casi aperti contro Meta in Kenya. Insieme, spiegano gli avvocati, queste tre cause hanno implicazioni potenzialmente globali che riguardano le condizioni di lavoro di questo «esercito nascosto di decine di migliaia di moderatori» impiegati per filtrare il materiale più tossico dei social media.L'APRIPISTA
Daniel Motaung, moderatore sudafricano che lavora a Nairobi, è stato il primo a fare causa contro le due aziende, sostenendo di essere stato ingiustamente licenziato dopo aver cercato di formare un sindacato per fare pressioni per una migliore retribuzione e condizioni di lavoro.
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IL PAGAMENTO
Nel 2020, Facebook ha accettato di pagare 52 milioni di dollari per risolvere una causa e fornire cure per la salute mentale ai moderatori di contenuti americani. In Irlanda, altri dipendenti hanno chiesto un risarcimento per conseguenze da stress post-traumatico. Ma i casi kenioti sono i primi depositati al di fuori degli Stati Uniti che cercano di cambiare, attraverso procedure giudiziarie, il modo in cui vengono gestiti i moderatori dei contenuti di Facebook. Se avranno successo, potrebbero portare al miglioramento delle condizioni di lavoro di tutto il settore. Leggi l'articolo completo suIl Messaggero