"Le voci della follia", il libro cult di Remo Rapino in tutti i dialetti d'Italia

"Le voci della follia", il libro cult di Remo Rapino in tutti i dialetti d'Italia
“Le voci della follia” è una inedita festa linguistica e online, incentrata sull’incipit del romanzo di Remo Rapino, “Vita, morte e miracoli di...

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“Le voci della follia” è una inedita festa linguistica e online, incentrata sull’incipit del romanzo di Remo Rapino, “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”, vincitore del Premio Campiello 2020. La storia del matto di paese abruzzese, che fa il verso a Gadda spogliandolo di qualunque elitarismo, e racconta la storia d’Italia da un punto di vista insolito, di Forrest Gump nostrano, viene esportata in altri dialetti. 

L’editore Minimum Fax lancia la sfida sui social, mandando in anvanscoperta celebrità di ogni genere. Ma sono anche molti i comuni mortali, a registrarsi durante la lettura del libro: Mò, quelli là, tutta la gente di sto cazzone di paese, vanno dicendo che sono matto… Una Rapino Challenge che sta già diventando virale.

 

 

In fondo è così da sempre, tutti gli attori di teatro si sono cimentati con il dialetto, la lingua parlata (veramente) dal popolo. “L’uso del dialetto non puó essere divisivo, tutt’altro - dice l’editore Daniele Di Gennaro - è un fattore unificatore che costituisce la ricchezza della lingua italiana. Un preciso disegno culturale puó quindi diventare anche politico”. Queste letture online “sono un po’ i nuovi balconi”

Finora sono stati pubblicati i video di Fabrizio Gifuni, Valerio Mastandrea e, da stamattina, Alba Rohrwacher. Ma visionando le anteprime dei post che verranno, la visione d’insieme è straordinaria. Nella versione romanesca di Mastrandrea, “se lo sugano” diventa “se lo ciucciano”, “cocciamatte” muta in “capoccia de matto”. Nella magistrale recitazione dello stesso incipit in abruzzese doc, in un video artificialmente sgranato, Gifuni ha  il cappuccio calato sulla testa: sembra filmato dal vero, nella casa di un Bonfiglio Liborio realmente esistente. Ineffabile il napoletano di Diego De Silva, che echeggia (e non può essere altrimenti)  lo “je so’ pazzo” di Pino Daniele. La versione umbra di Alba Rohrwacher è minimalista, quasi dimessa, da film in superotto. 

 

Ma non è finita. Enrico Bertolino se la prende in milanese stretto con “la gente di questo paese di pirla”. La lettura dell’udinese Giuseppe Battiston è sincopata, costellata di parole tronche. La versione emiliana dello Stato Sociale è quasi sbadata e tanto attuale: il musicista leggendo tiene stretta la mascherina in mano. Il palermitano denso e stretto di Luigi Lo Cascio - viene da notare - è così diverso dal finto siciliano di Camilleri. La versione marchigiana di Neri Marcoré - gli occhi spiritati a fissare la telecamera - è forse la più affine all’originale, se non altro per ragioni geografiche. Nella sua recitazione, invece, Paolo Rossi in triestino sottolinea il testo, e se la prende con la scacchiera al suo fianco, come a dimostrare che la follia è il suo pane quotidiano. Ineffabile, infine, il veneziano di Tiziano Scarpa - “lo so anca mi, ghe penso sempre” - in piedi davanti alla sua biblioteca.

 

 

 

Matti di tutto il mondo, unitevi. Il Liborio Challenge - alias “Le voci della follia” - è soltanto iniziato.

 

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Il Messaggero