Coronavirus, italo-coreano a Seul: «Sms mi avverte se ho un positivo vicino. Addio privacy, ma siamo salvi»

«Abbiamo rinunciato alla privacy, ma abbiamo fermato l'epidemia. Funziona così: se nel mio quartiere viene trovata una persona positiva, mi arriva un messaggio...

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«Abbiamo rinunciato alla privacy, ma abbiamo fermato l'epidemia. Funziona così: se nel mio quartiere viene trovata una persona positiva, mi arriva un messaggio che mi avverte. Mi spiega tutti i luoghi che ha frequentato come ristoranti, palestre, musei, caffetterie, in quali giorni e in quali orari. Il messaggio mi dice: se ritieni di avere frequentato quei luoghi negli stessi giorni, vieni a fare il test per il coronavirus. Noi andiamo, in strutture pubbliche che potrebbero corrispondere ai vostri municipi, se risultiamo positivi veniamo messi in quarantena. Altrimenti, torniamo a casa».


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Park, 30 anni, è coreano e abita a Seul, ma spesso fa la spola con Roma per ragioni di lavoro. Dalla Corea del Sud racconta come funziona il sistema di contenimento del contagio in una nazione che inizialmente, anche a causa di una setta religiosa che aveva nascosto i casi positivi, ora viaggia ad appena 70-80 nuovi casi al giorno, mentre fino a qualche settimana fa rappresentava l'emergenza più grave dopo la Cina. 

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Ma se cosa succede se un cittadino mente e non si presenta per il test? «Prima o poi viene individuato, perch le autorità svolgono verifiche con le tracce degli smartphone e delle carte di credito. Se sei stato nello stesso ristorante in cui è passato il soggetto poi risultato positivo, ti scoprono. Per questo i cittadini preferiscono collaborare. Il sistema di prevenzione ha reagito così rapidamente per vari motivi: forti dell'esperienza della Sars, è stato preparato un piano e le aziende famaceutiche hanno un'intesa con lo Stato, se c'è una emergenza iniziano subito a produrre ciò che serve, come i test ad esempio. Inoltre, qui normalmente i cittadini sono tracciati e controllati, non come in Cina, ma comunque il livello di controllo è più alto che in Europa. Normalmente i cittadini non amano questa invasione della privacy, ma di fronte a questa emergenza tutti l'hanno accettata di buon grado. Questo è un paese in cui ormai i pagamenti in contatti sono molto rarissimi e dunque, oltre agli smartphone, anche le carte di credito sono utili per ricostruire gli spostamenti e contatti di una persona risultata contagiata, Il sistema di alert, con messaggi che arrivano direttamente alle persone di una determinata area a rischio, si è dimostrato efficace e i test, su tutti i potenziali contagiati, vengono fatti massicciamente, ma non a caso».

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Sono state create anche zone rosse, soprattutto nella regione in cui la setta religiosa Shincheonji aveva causato il moliplicarsi di casi positivi, ma a Seul la vita è pressochè normale. «In questi giorni sono state chiuse le discoteche, le palestre, fermati i concerti. Ma bar e ristoranti sono aperti. Si è deciso di matenere alta la guardia perché si è notato che i nuovi casi, comunque molti meno che in Italia, sono tra i più giovani. E si vigila molto anche su chi entra ora in Corea dall'estero».


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Il Messaggero