La rabbia degli studenti in psicologia e l'esame di abilitazione professionale: «Regole poco chiare, abbandonati al nostro destino»

La rabbia degli studenti in psicologia e l'esame di abilitazione professionale: «Regole poco chiare, abbandonati al nostro destino»
Abbandonati dalle istituzioni, in una situazione di totale incertezza. Tra i più danneggiati dalle conseguenze della pandemia da Covid19, ci sono sicuramente i laureati in...

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Abbandonati dalle istituzioni, in una situazione di totale incertezza. Tra i più danneggiati dalle conseguenze della pandemia da Covid19, ci sono sicuramente i laureati in psicologia che a breve dovranno sostenere l'esame di abilitazione professionale. A chiedere sostegno sono oltre 10mila abilitanti per una mobilitazione senza precedenti per la categoria


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A far scattare la rabbia, intanto le modalità dell'esame, il cui cambiamento, necessario a seguito dell'emergenza sanitaria, è ritenuto farraginoso e inadeguato. Il lieto fine non si vede, mentre il contatore si sta per esaurire, visto che in calendario l'appuntamento - originariamente fissato per il 19 giugno - è previsto per 16 luglio.  

«Prima del coronavirus - spiegano i rappresentati del movimento spontaneo - il nostro esame di abilitazione consisteva in tre prove scritte più un colloquio orale. Per potervi accedere era necessario un tirocinio professionalizzante di mille ore distribuite in due semestri. Erano complesse e impegnative». Attraverso queste si testavano le competenze dei candidati su svariate materie: «Una era di psicologia generale, una di progettazione di un intervento e la terza sull’analisi di un caso clinico reale».

Non finiva qui, però, perchè dopo c'era un colloquio orale sull’analisi del tirocinio, sulla conoscenza e sulla capacità di applicazione del codice deontologico. Storia diversa oggi: «Tutto verrebbe sostituito da un colloquio telematico - spiegano ancora i rappresentanti -  di cui non sono chiare né le modalità né i tempi, e sostanzialmente ci apprestiamo ad affrontare un’esame al buio, senza sapere a che tipo di prova andremo incontro».

L’apice della protesta è stato raggiunto lo scorso 12 giugno con una manifestazione in piazza Montecitorio, ai quali erano seguiti incontri con il ministro Ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, e con i rappresentanti del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi. Nonostante ciò, non sono seguiti provedimenti di rilievo, ma esclusivamente linee guida non vincolanti. Queste, sono state presentate nei giorni scorsi dall'Ordine degli Psicologi cui ha fatto seguito una nota del Ministero che invita ad attenersi a tale documento.

«Non è un esito risolutivo. Ciascun ateneo universitario - proseguono - ha piena discrezionalità e valutazione degli esami. In ogni caso non sembrano esserci adeguamenti alle linee dell’Ordine, che risultano vaghe. Ci troviamo in una situazione in cui non solo non sappiamo niente di come l’esame sarà svolto, ma ci muoviamo senza avere informazioni neppure sulle date: alcuni atenei non hanno fatto sapere nulla sulle tempistiche, altri hanno pubblicato le tabelle con le date dei colloqui, ma anche qui ognuno segue percorsi diversi, e c’è pure chi spezzerà la sessione in due fasi, tra luglio e settembre».

E, quindi la proposta, che spiegano Patrick Fabbri e Davide Pirrone: «Fare  ciò che si è fatto per medici e infermieri a seguito della pandemia, ovvero equiparare il tirocinio professionalizzante all’esame di Stato. Anche perché, dopo il decreto Lorenzin del 2018, la Psicologia ha acquisito a tutti gli effetti lo status di professione sanitaria». La risposta, però, non è stata positiva e ha reso necessaria un'altra proposta: «A quel punto abbiamo chiesto di poter svolgere il colloquio telematico secondo le modalità di quella che precedentemente era la prova orale, con la possibilità per i commissari di aggiungere domande sulla teoria, ma dando sostanzialmente per assodate le conoscenze oggetto delle prime tre prove scritte. È impensabile, infatti, l’idea di poter concentrare in una videochiamata di mezz’ora quattro prove così articolate, senza che ne scaturisca un caos. Al momento, però, nessuno sembra volerci ascoltare».


E i problemi non finiscono qui, perchè ricade sul candidato la responsabilità dei problemi relativi alla connessione:  «In questo modo - specificano - basta che salti un’attimo la corrente elettrica per rischiare che l’esame venga invalidato». Una battaglia che va oltre il caso specifico: «Chiediamo il riconoscimento della dignità della nostra professione. È inaccettabile, infatti, ritrovarsi costretti ad affrontare in modo così caotico un momento importante del nostro percorso professionale, per il quale abbiamo lavorato duro nel corso degli anni. Si tratta inoltre di un esame molto costoso, e trovarsi a doverlo ripetere per mancanza di chiarezza sulle modalità non è proprio la situazione ideale, soprattutto in un momento in cui la situazione economica è così difficile».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero