Il futuro climatico della Terra è già arrivato. Dallo scioglimento dei ghiacci polari alla perdita della foresta amazzonica passando per la riduzione della barriera...
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«A partire dalla riduzione dei gas serra», spiegano. L'appello arriva a pochi giorni dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la Cop25, che si svolgerà a Madrid dal 2 al 13 dicembre. E a meno di un mese dall'allarme «emergenza climatica» per la Terra lanciato sulla rivista BioScience da più di 11.000 ricercatori di 153 Paesi, tra cui più di 200 italiani.
«Nemo a rischio estinzione, potrebbe scomparire dagli oceani per colpa dei cambiamenti climatici»
La rivista Nature sottolinea come venti anni fa l'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), il comitato delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, considerasse alcune previsioni, come lo scioglimento dei ghiacci polari o la salute dei coralli, molto probabili qualora le temperature medie del Pianeta avessero superato i 5 gradi entro cento anni. Adesso, si legge su Nature, i nuovi rapporti dell'Ipcc parlano, come punto di non ritorno, di un aumento delle temperature globali di 1 o 2 gradi. «Il 99% dei coralli - spiegano - potrebbe sparire se le temperature dovessero aumentare di 2 gradi. Stabilità e resilienza della Terra sono in pericolo. La situazione - aggiungono - è troppo rischiosa per aspettare ancora». Di questo passo, ad esempio, entro il 2040 si arriverà a un aumento di 1,5 gradi.
«Quando ho letto l'appello, mi sono spaventato», commenta Giorgio Vacchiano, ricercatore di gestione forestale all'Università Statale di Milano, tra i firmatari del precedente appello di BioScience. «Il quadro è allarmante, non possiamo permetterci di fare finta di niente. I dati dell'Ipcc mostrano che i cambiamenti sono più netti e imprevedibili del passato, e che la Terra è più sensibile di quanto pensassimo. Se, ad esempio, dovesse continuare a questo ritmo la fusione dei ghiacci polari, la corrente del Golfo potrebbe rallentare o arrestarsi. Ô un rischio - conclude - che non possiamo correre. Anche perché, cambiando le nostre abitudini, ci vorranno comunque 30 anni prima di vederne gli effetti positivi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero