Tumore al seno, distruggendo due molecole se ne rallenta lo sviluppo: la scoperta dello studio italiano

Distruggendo due molecole si potrebbe rallentare lo sviluppo del tumore al seno ed evitarne un'ulteriore ricomparsa. Lo dimostra lo studio italiano sostenuto dalla Fondazione...

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Distruggendo due molecole si potrebbe rallentare lo sviluppo del tumore al seno ed evitarne un'ulteriore ricomparsa. Lo dimostra lo studio italiano sostenuto dalla Fondazione AIRC, pubblicato su Journal of Cell Biology dal gruppo di Francesco Nicassio all'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), da quello di Pier Paolo di Fiore all'Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dall'Università Statale di Milano. Secondo la ricerca Il tumore alla mammella potrebbe infatti essere tenuto sotto controllo disattivando il miR-146a e miR-146b, le due particelle di RNA (microRNA) che agiscono regolando centinaia di geni, inclusi quelli che mantengono attive le cellule staminali che alimentano il tumore e la sua ricomparsa dopo il trattamento.

 

 

 

 

Lo studio

Le analisi, hanno mostrato chiaramente che queste due molecole tendono ad essere molto elevate nei tumori al seno più aggressivi, evidenziando quindi che i due microRNA fossero causa dell'elevata presenza di cellule staminali tumorali. Disattivando il miR-146a e il miR146b, secondo i ricercatori che ora attendono i risultati degli studi clinici, tutto cambierebbe, rendendo addirittura più efficaci le chemioterapie e migliorando la prognosi delle donne con forme aggressive di cancro. «E' stato sufficiente distruggere questi due microRNA nelle cellule tumorali derivate da pazienti per ridurre la capacità di tali cellule di formare nuovi tumori», spiega Chiara Tordonato, ricercatrice presso IEO e Università di Milano, e prima autrice del lavoro. «I nostri risultati - aggiunge Nicassio, coordinatore del Center for Genomic Science (CGS) dell'IIT - mostrano chiaramente che la riduzione dei livelli di miR-146a/b rappresenta un approccio potenzialmente in grado di superare alcune forme di farmacoresistenza in ambito clinico, smascherando una vulnerabilità nascosta del tumore che può essere sfruttata per lo sviluppo di nuove terapie in grado di colpire le cellule staminali del cancro». 

 

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Il Messaggero