Parkinson, ultrasuoni “sparati” sul cervello fermano i tremori

Parkinson, ultrasuoni “sparati” sul cervello fermano i tremori
Una nuova tecnica mininvasiva basata sugli ultrasuoni potrebbe alleviare uno dei sintomi del Parkinson, i tremori. La speranza arriva da un trial clinico condotto presso...

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Una nuova tecnica mininvasiva basata sugli ultrasuoni potrebbe alleviare uno dei sintomi del Parkinson, i tremori. La speranza arriva da un trial clinico condotto presso l'Università dell'Aquila: gli ultrasuoni focalizzati ad alta intensità guidati da risonanza magnetica riscaldano e distruggono un piccolissimo pezzetto di tessuto cerebrale, il talamo, riducendo da subito i tremori, e con una efficacia che perdura a lungo termine. Lo studio è stato presentato al meeting della Radiological Society of North America (RSNA) a Chicago da Federico Bruno, radiologo del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze Cliniche applicate.


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Il trial ha coinvolto 39 pazienti con tremori (sia malati di Parkinson, sia pazienti con tremore essenziale) che non avevano risposto alle terapie classiche e soffrivano da anni di tremori. La terapia con ultrasuoni elimina il 'talamo', minuscola regione cerebrale alla base dei tremori che sono il risultato di spasmi muscolari in genere alle mani e sono molto invalidanti per i pazienti. La metodica è risultata molto sicura ed efficace nel 95% dei casi.


 
«Un ulteriore vantaggio degli ultrasuoni - ha dichiarato Bruno - è l'effetto immediato che il trattamento fornisce, diversamente dalla stimolazione profonda», che oltre a richiedere un intervento invasivo per applicare nel cervello una sorta di pacemaker, impiega del tempo per iniziare a fare effetto. «In più - ha aggiunto - la terapia con ultrasuoni richiede un ridotto tempo di degenza, ed è applicabile anche a pazienti molto fragili, che non potrebbero sostenere un intervento chirurgico». «L'applicazione clinica di questa tecnica per malattie neurologiche rappresenta una novità assoluta, l'uso clinico è stato approvato dalla FDA meno di tre anni fa - ha concluso Bruno -. Pochi pazienti conoscono questa opzione terapeutica e ci sono ancora pochi centri specializzati che possono offrirla». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero