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Il Covid non è un raffreddore. E non è una semplice febbre. Ma i sintomi sono simili a quelli dell’influenza e possono indurre in errore. Una minoranza di chi ce l’ha, però, preferisce evitare il test tampone per continuare a fare la vita di tutti i giorni. A confermare questo comportamento è il vice segretario nazionale della Fimmg (la Federazione italiana dei medici di famiglia), Pier Luigi Bartoletti. «Sì, queste persone ci sono, ma nella maggior parte dei casi non c’è molta resistenza nel fare il tampone – spiega il medico – Cosa rischia chi non fa il test? Di sicuro, come qualsiasi malattia respiratoria, può portare a una complicanza, quindi è meglio rientrare nei percorsi Covid».
«Oggi sempre più medici vogliono fare i tamponi – aggiunge – ormai per noi il test è presente nello studio, è un po' come avere un fonendoscopio. Nel mio studio faccio gli antigenici rapidi di terza generazione. E proprio ieri, per la prima volta, mi è capitato di fare test che hanno avuto più risultati positivi che negativi».
Il medico sottolinea come ci sia anche un’altra pratica scorretta. «Ci sono pazienti che non passano da noi allo studio, ma chiamano per avere un certificato di malattia – continua Bartoletti – Non funziona così: i certificati non vengono rilasciati a distanza. Il medico non può certificare una cosa che non vede».
I medici di famiglia, così, valutano caso per caso. «Io mi sono regolato seguendo due casi: a chi ha il raffreddore e si sente un po’ male dico di venire allo studio. A chi ha 40 di febbre dico che vado io a visitarlo a casa. È chiaro che bisogna stare attenti e che, dovendo gestire a casa grandi anziani o fragili, tendiamo di evitare di andare in giro».
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Il Messaggero