Obesità e anoressia: legate alla carenza dell'ormone del buonumore

Obesità e anoressia: legate alla carenza dell'ormone del buonumore
 Anoressia e obesità potrebbero portare a deficit di una "molecola del benessere", l'allopregnanolone, e predisporre a depressione e...

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 Anoressia e obesità potrebbero portare a deficit di una "molecola del benessere", l'allopregnanolone, e predisporre a depressione e ansia.   Lo rivela uno studio firmato dall'italiano Graziano Pinna dell'Università dell'Illinois e pubblicato sulla rivista “Neuropsychopharmacology”.  L'allopregnanolone - chiamato anche “allo” - è un derivato dell'ormone femminile progesterone; generalmente produce un umore positivo e sensazioni di benessere. Ricerche precedenti, spiega Pinna, hanno collegato i bassi livelli di “allo” a rischio di depressione e ansia. Inoltre, questi disturbi dell'umore sono comuni nelle persone che soffrono di anoressia (oltre metà delle donne con anoressia nervosa ne soffre) e obesità (il 43% degli obesi soffre di depressione).


Il gruppo di Pinna ha coinvolto 12 donne con anoressia nervosa, 12 donne di peso normale e 12 donne obese. Nessuna delle donne aveva ricevuto una diagnosi di depressione o preso antidepressivi precedentemente. Tutte sono state sottoposte a un prelievo di sangue e a questionari per valutare la presenza di disturbi d'ansia e depressivi. I ricercatori hanno trovato che nelle donne con anoressia i livelli di allo nel sangue erano il 50% inferiori rispetto a quelli misurati nel sangue di donne di peso normale; e le donne obese presentavano livelli di allo di circa il 60% inferiori rispetto alle donne di peso normale. Invece la concentrazione di progesterone era normale in tutte le partecipanti, segno che in caso di anoressia e obesità va “in tilt” il sistema che trasforma il progesterone in allo.


    Infine gli esperti hanno visto che più era bassa la concentrazione di allo, più le donne anoressiche e obese soffrivano di depressione e ansia.  Molecole che aumentano la produzione di allo potrebbero divenire antidepressivi alternativi rispetto a quelli oggi in uso (che non funzionano in circa la metà dei pazienti), sostiene Pinna. 
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Il Messaggero