La malattia embolica, il “nemico” del subacqueo: ecco cos'è e come si evita

La malattia embolica, il “nemico” del subacqueo: ecco cos'è e come si evita
È la malattia embolica il peggior nemico del subacqueo, ovvero la patologia da decompressione cui va incontro il sub che riemerge velocemente senza osservare le dovute pause per...

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È la malattia embolica il peggior nemico del subacqueo, ovvero la patologia da decompressione cui va incontro il sub che riemerge velocemente senza osservare le dovute pause per "sciogliere" le bolle di azoto che si sono formate nel sangue e nei tessuti scendendo a profondità maggiori dei 10-18 metri.


E nella sua forma più grave può portare alla morte, come potrebbe essere accaduto oggi per i sub alle isole Formiche di Grosseto. «Questa è la classica malattia del sub - spiega Luca Revelli, chirurgo endocrino del Policlinico Gemelli di Roma ed esperto di medicina subacquea - quando si emerge troppo rapidamente le bolle di azoto non hanno il tempo di sciogliersi.

Dispnea, ovvero difficoltà a respirare, e dolori toracici sono i sintomi più comuni di chi viene colpito. Il problema nasce dalle miscele, come l'aria, che i sub respirano e che normalmente contengono il 21% di ossigeno e, ovviamente, l'azoto. Ci sono miscele più sicure, come il Mitrox, con 32-36% di ossigeno , o anche più nel Primax, ma vengono usate per immersioni profonde. Certo le acque delle Formiche di Grosseto sono molto belle ma anche molto profonde in alcuni punti».

Per evitare la malattia embolica, il sub deve risalire lentamente, osservando una velocità di sicurezza di 9/10 metri al minuto e seguendo una tabella di pause che tiene conto delle profondità raggiunte e del tempo trascorso. «L'emersione rapida può avvenire però per vari motivi - aggiunge Revelli -: forse perchè non si ha aria a sufficienza per rispettare le pause di decompressione, oppure perchè si sta soccorrendo un compagno di immersione o magari si è in difficoltà.

Il risultato è appunto la malattia embolica che può manifestarsi in vari modi: cutanea, linfatica, articolare e, nella sua forma più grave, polmonare. Nei primi tre casi, molto comuni tra i sub, basta quasi sempre una somministrazione di ossigeno "normobarico". Nel caso più grave è necessaria la camera iperbarica che serve a riportare il sub alla pressione maggiore che ha subito per consentirgli di effettuare tutte le tappe di decompressione necessarie».


«L'efficacia della camera iperbarica è però legata alla gravità della situazione e soprattutto ai tempi di intervento che devono essere molto rapidi. Di solito la capitaneria di porto e il 118 intervengono anche con gli elicotteri, ma questi ultimi devono volare a bassa quota altrimenti rischiano di peggiorare la situazione», conclude.
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Il Messaggero