Leonardo Savian Cecchetti morto in un incidente. La lettera del pediatra che l'ha soccorso: «Non sai cosa avrei dato per salvarti»

Giorgio Cuffaro e quegli attimi terribili a Treviso: "Non sono stato un eroe"

Leonardo Savian Cecchetti morto in un incidente. La lettera del pediatra che l'ha soccorso: «Non sai cosa avrei dato per salvarti»
PORDENONE - Le parole di Giorgio Cuffaro, il pediatra pordenonese che ha rianimato il piccolo Leonardo Savian Cecchetti morto a soli due anni nell'incidente stradale avvenuto...

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PORDENONE - Le parole di Giorgio Cuffaro, il pediatra pordenonese che ha rianimato il piccolo Leonardo Savian Cecchetti morto a soli due anni nell'incidente stradale avvenuto a Motta di Livenza. «No, non sono stato un eroe. Ho solo fatto, nel miglior modo possibile, il mio dovere, di medico e cittadino. Perché sì, ogni cittadino è tenuto a soccorrere. E ogni cittadino dovrebbe, a mio avviso, sapere esattamente cosa fare in situazioni simili, indipendentemente che poi ci riesca o meno. Ho solo applicato alla lettera i corsi di rianimazione seguiti fin dai tempi delle scuole superiori, quando ero "Pioniere" in Croce Rossa e facevo servizio, guarda caso, anche in Pediatria. L'ultimo aggiornamento Blsd l'avevo fatto un paio di settimane prima del nostro incontro. Non ho perso un attimo, sai? Quando ho capito che non respiravi e il tuo cuore non batteva, ti ho preso in braccio, messo in sicurezza, valutato rapidamente e iniziato a massaggiare e ventilare senza perdere un istante, come da linee guida. Il tuo papà mi ha detto che erano passati solo pochi secondi dall'incidente. Che fortuna!, ho pensato. Ero fiducioso. Ce l'ho messa tutta, sai?»

 

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La lettera continua: «In quel momento eri improvvisamente diventato un mio paziente, anzi, IL mio paziente ed io il tuo pediatra. E ai miei pazienti, credimi, cerco sempre di dare il meglio. A dire il vero eri un po' paziente e un po' figlio perché coi miei pazienti, in genere, non mi viene da piangere quando mi prendo cura di loro e con te, a tratti, dovevo trattenere le lacrime e concentrarmi su ciò che dovevo fare, perché andava fatto subito e bene, e così è stato. Il tuo papà l'ho fatto avvicinare e gli ho detto di tenerti la mano, ricordi? So che ne aveva bisogno, ne avevate bisogno, ne avevamo bisogno. Ci siamo fatti forza a vicenda fino all'arrivo dell'ambulanza. Eri IL mio paziente con un enorme bisogno di aiuto e io, quell'aiuto, ho cercato di dartelo anima e corpo, massaggiandoti e ventilandoti ininterrottamente per almeno 15 minuti, qualcuno dice 20, poco importa. Non sentivo la fatica, sai? Comprimevo bene e, il tuo piccolo torace, a ogni ventilazione, si espandeva come da manuale. La "fatica" l'ho percepita solo il giorno dopo, quando le mie ginocchia non erano più in grado di fare le scale o altri movimenti banali a ricordarmi, a ogni passo, cosa fosse successo il giorno prima».

 

 

«Non ci ho pensato un istante se ventilarti o meno bocca a bocca, sai? Non potevo permettermi di negarti anche solo una infinitesima possibilità di salvarti nonostante, negli ultimi anni, nei corsi di primo soccorso la respirazione "bocca a bocca" sia sconsigliata, per questioni "igieniche". Questioni igieniche, capisci? Il tuo volto, dopo pochi istanti, è tornato roseo, a dirmi che stavamo andando bene, e non mi sono perso d'animo. E tu ci hai messo del tuo, quando il tuo cuoricino ha ripreso a battere regolarmente, con forza. Non credevo alle mie dita, alle mie orecchie, ai miei occhi. Non è facile in quelle circostanze, per un "pediatra semplice" come me, reperire un accesso vascolare, sai?»

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Cuffaro conclude: «Ma può essere fondamentale, per somministrare liquidi ed eventualmente farmaci. Eri IL mio paziente, e ci ho pensato io in un istante, senza difficoltà, come fosse la cosa più naturale del mondo, in una situazione simile. Tutto sembrava davvero andare per il meglio ma, purtroppo, qualcosa era già andato storto, e io non potevo saperlo. Non sai cosa avrei dato per salvarti per davvero e un giorno, magari, sì, poterti abbracciare. O guardarti giocare, correre, saltare, anche solo in silenzio e da lontano. La mia sola piccola grande consolazione è aver dato a te e ai tuoi portentosi genitori un po' di tempo, per parlarti, accarezzarti, coccolarti. Sono certo tu, con loro, abbia fatto un bel pieno di Amore, dopo il nostro incontro. La notizia è trapelata, come anche le tue foto (non sempre oscurate), il tuo nome e il tuo cognome. Che fosse proprio necessario? Ora spero proprio vi lascino in pace. E che i nostri politici, nei loro programmi acchiappa-like, trovino spazio per rendere i corsi di primo soccorso obbligatori e capillari, dalle scuole medie inferiori in poi».

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Il Messaggero