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Dormire fa bene alla salute. Non dormire, di riflesso, male. Anche più di quanto non si immagini. I risultati di una ricerca europea sono preoccupanti: l'insonnia aumenta del 24% il rischio di emorragia cerebrale dovuta alla rottura di un aneurisma. A questa conclusione sono pervenuti i ricercatori coordinati dal Karolinska Institutet con un lavoro appena pubblicato sul Journal of the American Heart Association. Analizzati i dati clinici e genetici di 6.300 persone con aneurisma intracranico e 4.200 casi di emorragia. Il confronto di riscontro è stato condotto con il quadro sanitario riferito a 60mila persone in buone condizioni di salute.
Aneurismi nel 3% degli adulti
Oltre il 3% degli adulti in tutto il mondo ha aneurismi intracranici, rigonfiamenti dei vasi sanguigni che in circa 1 caso su 50 possono andare incontro a rottura provocando un'emorragia cerebrale. «La rottura degli aneurismi è spesso fatale. È, quindi, estremamente importante identificare i fattori di rischio modificabili che possono aiutare a prevenire l'emorragia», afferma la coordinatrice dello studio Susanna C. Larsson, professore associato presso l'unità di epidemiologia cardiovascolare e nutrizionale presso il Karolinska Institutet di Stoccolma.
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Il forte legame con fumo e pressione
La ricerca ha valutato l'impatto di diversi fattori di rischio nell'insorgenza sia dell'aneurisma sia di una loro rottura con conseguente emorragia. Non è emerso nessun impatto significativo di fattori come la ridotta attività fisica, alti livelli di trigliceridi o di colesterolo LDL, un elevato indice di massa corporea. È stato confermato, invece, il contributo del fumo e della pressione: in particolare è stato rilevato che il rischio di aneurisma intracranico è circa 3 volte maggiore tra i fumatori e altrettante volte per ogni aumento di 10 mm Hg della pressione diastolica. In più, è emerso il rischio derivante dall'insonnia. «È la prima volta che l'associazione tra insonnia e aneurisma intracranico viene segnalata - aggiunge Larsson -. Saranno necessari ulteriori studi per confermare la nostra tesi ed, eventualmente, valutare come intervenire per modificare o gestire i fattori di rischio e prevenire le emorragie cerebrali».
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